Recensione: Necrogod

Di Alessandro Calvi - 4 Giugno 2013 - 9:00
Necrogod
Band: Ecnephias
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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78

Gli Ecnephias non necessitano di presentazioni. Non qui, non su TrueMetal, avendone seguito in diretta i passi fin dagli inizi. E di strada, ci sentiamo di sottolinearlo una volta in più, casomai ce ne fosse bisogno, ne han fatta tanta da quel “Dominium Noctis” che sanciva il loro esordio discografico. Ogni disco è stato contraddistinto da un cambiamento, da una evoluzione (per quanto, magari, non sempre nella direzione sperata dal sottoscritto), a dimostrazione di una band incapace di rimanere ferma, di standardizzarsi e di vivere di rendita. “Necrogod” segna l’ennesima svolta, l’ennesima mutazione degli Ecnephias, come un serpente che cambia pelle loro rimangono fedeli a sé stessi, ma sono al contempo qualcosa di nuovo ogni volta.

Già in precedenza il gruppo ci aveva dimostrato di non lasciare nulla al caso, sfornando testi d’ispirazione storico-letteraria, traendo spunto da personaggi o fatti storici, così come citando brani di opere o intere poesie. In questo caso il disco, oltre che a configurarsi come un concept, potrebbe quasi essere definito una ricerca (o una tesi), sul tema delle divinità della morte nelle culture pagane e pre-cristiane dei paesi del sud del mondo. I testi spaziano dalla religione dell’antico egitto ai miti di assiri, sumeri e babilonesi, parlano delle divinità arabe e di quelle indiane, oltrepassano l’oceano per occuparsi dei popoli precolombiani e, basandosi su un recente studio sul popolo dei Nok, arriva fino al voodoo. Forse non tutto il lavoro di documentazione svolto, però, traspare completamente solo attraverso le canzoni, questo perchè le lyrics sono volutamente semplici, così da poter arrivare a un pubblico più ampio possibile. Come ci assicura Mancan (a cui abbiamo posto proprio questa domanda), per fortuna, nel libretto ci sarà ampio spazio dedicato alla descrizione e all’approfondimento del concept, così che chiunque possa andare davvero a fondo del lavoro fatto dagli Ecnephias. Da parte nostra non possiamo che consigliarvi di leggervi tutte e quattro le pagine che ospiteranno il lungo escursus perchè ne vale la pena.
Sotto il profilo prettamente musicale si sottolinea, come si accennava anche in apertura, che c’è stato qualche cambiamento. Il processo iniziato con “Inferno” sembra proseguire sulle note di “Necrogod”, assistiamo, quindi, a una ulteriore limata delle parti più incazzate e brutali, più prettamente black e death, in cambio di una attenzione sempre più marcata per la melodia. Anche certi toni epici e monumentali che comparivano nel precedente platter sembrano essere stati lasciati momentaneamente da parte. Al loro posto, piuttosto, qualche vago rimando a sonorità delle musiche popolari egiziane e arabe. Il growl non è stato abbandonato, anzi, trova molto spazio in questo disco, solo non è generalmente accompagnato da chitarre distorte e batteria martellante, piuttosto si adagia su un sound di matrice sempre più classica (anche nel suono vero e proprio degli strumenti) che crea un curioso contrasto.
Non possiamo negare che, qui e là, però, forse avremmo gradito che gli Ecnephias si lasciassero andare a un po’ di sana e ignorante violenza fine a se stessa. Buona parte del disco, infatti, sembra quasi il preludio a qualcosa, un lento e progressivo costruire la tensione in attesa che, finalmente, possa scaricarsi tutta in una volta. Quest’ultimo passaggio, però, non avviene e, nei primi ascolti, può lasciare un po’ di amaro in bocca. Per questo una canzone come “Necrogod” risulta fin da subito una delle preferite, in quanto una delle poche in cui si può assaggiare un po’ di violenza. A lungo andare, però, non si può rimanere indifferenti di fronte a pezzi come “Ishtar” o “Kali Ma” che fanno degli svariati cambi di tempo, sound, genere, il proprio punto di forza.
In alcuni frangenti si possono ancora individuare quelli che sono stati i gruppi che, fin dall’inizio, hanno ispirato i musicisti, parliamo di band come Moonspell, i primi Paradise Lost o i Rotting Christ. A questi ultimi sembra voler essere un esplicito omaggio “Voodoo”, ma basta scorrere i credits per capirne subito il motivo, è su quel brano, infatti, che canta un ospite d’eccezione: Sakis Tolis, cantante, chitarrista e fondatore (insieme al fratello Themis) proprio dei Rotting Christ.
In tutto questo, una volta di più, gli Ecnephias si trovano del tutto a loro agio. A cominciare da Mancan, ormai una certezza nel sapere passare da un registro all’altro mantenendo una invidiabile sicurezza ed espressività. Non sono da meno le chitarre, a proprio agio nei passaggi più grezzi e veloci, così come in quelli classici o, infine, quelli melodici. Un plauso, infine, anche alle tastiere di Sicarius, bravissimo nel fare da legante tra tutte queste anime e nel dare quell’atmosfera e profondità che rendono unici alcuni di questi pezzi.

Per finire non si può che fare i complimenti agli Ecnephias. Disco dopo disco hanno saputo cambiare, evolvere, migliorarsi. La loro continua ricerca li ha portati a sfornare album che, di volta in volta, rispecchiavano la loro vera essenza, senza mai scegliere la strada più facile o più economicamente remunerativa. Quest’ultimo “Necrogod” può ben dirsi il punto più alto raggiunto nella loro carriera. Ci auguriamo di tutto cuore (ma, in realtà, già lo sappiamo che sarà così) che questo non sia per loro un punto di arrivo, bensì solo un trampolino di lancio da cui continuare a provare, sperimentare, ricercare. Magari qualche piccolo passo falso, prima o poi, potrà anche capitare, ma finchè lo spirito sarà animato dalla voglia che gli Ecnephias han dimostrato fin qui, sarà solo la dimostrazione di un gruppo che non ha paura di osare e tentare sempre qualcosa di nuovo.

Discutine sul forum di TrueMetal, nel topic dedicato agli Ecnephias.

Alex “Engash-Krul” Calvi

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