Recensione: Necronomic Warfare

Di Vittorio Sabelli - 20 Febbraio 2014 - 13:47
Necronomic Warfare
Band: TrenchRot
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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84

Accomodiamoci in poltrona e proviamo a capire se i TrenchRot sono stati capaci di accrescere il potenziale messo in mostra lo scorso anno con il demo “Dragged Down To Hell“, EP altamente corrosivo e distruttivo, le cui tre tracce sono state inserite in coda del nuovissimo ”Necronomic Warfare“, rallentate di qualche tacca di metronomo rispetto alla precedente versione.   

Perchè aspettarsi tanto dai quattro di Philadelphia? In primis perchè a mio avviso Steve Jansson è una delle voci più intriganti dell’intero panorama underground. Non sono avvezzo a paragoni ma la sua ugola sembra riuscire ad esprimersi a metà tra Martin van Drunen e il primo Chuck, con una carica e una varietà ritmica che fanno l’arma in più della band. Secondo perchè a livello strumentale hanno caratteristiche e conoscenze tali da permettergli di imporre il proprio stile all’interno del pluri-affollato panorama del death metal.

Ma senza troppe illusioni ci spostiamo all’interno dell’art-work (in verità non particolarmente esaltante) dall’aria piuttosto trasheggiante sperando che il contenuto sia di tutt’altra caratura. E il risultato è come se l’Europa di inizi anni ’90 si fosse spostata in toto in Pennsylvania, con la flotta comandata da Asphyx e Bolt Thrower a dettare regole e colori di quella che fu l’eccelsa ondata del death metal del vecchio continente.

Ma attenzione a non cadere in pregiudizi e in ipotesi azzardate riguardo scopiazzamenti vari. Senz’altro il punto di partenza è quello delle band citate, ma i Nostri riescono a rendere ogni singola nota, ogni singolo ‘passaggio‘, ogni idea maledettamente interessante e affascinante. I brani si susseguono in maniera naturale e i suoi cinquanta minuti scorrono via tra una marea di emozioni che non si scostano di un centimetro dalla parola death metal, arricchendolo ogni istante con qualche trovata che non lascia scampo.

Non ci sono dubbi, la band ha studiato a fondo ed è riuscita a imbastire un discorso e un lavoro eccelsi che entusiasmano ad ogni ascolto sempre di più. Il sound è pazzesco, grezzo e singolare allo stesso tempo, la voce è sempre alle prese con una lotta spirituale con i suoi precedenti ispiratori, e non lascia un momento vita facile ai musicisti che devono accollarsi il compito di trascinare via la sua grinta.

Sin dalla prima scarica di batteria e il riff retaggio dei primi Slayer si intuisce che sarà un pomeriggio di fuoco. E non appena Jansson s’impossessa dell’aria in “Death By TrenchRot” è finita, o meglio, è iniziato il massacro per tutti. Ritmi frenetici si alternano a quello che è un signor cambio di tempo che lascia senza aria tanto è il dislivello, e un pregevole e inaspettato solo di chitarra che rilancia a mille verso il finale. Tutt’altra storia la seguente “Gustav Gun”, aperta da una melodia esotica dalla chitarra e improntata principalmente su una sorta di doom ben contornato dalla batteria in primis, in grado di non riempire troppo ma colorando i momenti vuoti con buon gusto. Il finale è dato da uno slancio della chitarra, che chiude con un solo psicotico.

“The Most Unspeakable Of Acts” riparte come se fosse il seguito della traccia precedente. Ritmi infernali in cui echeggiano i piatti della batteria e il drumming ossessivo sono il background per un riffing sempre all’altezza della situazione e del solito Jansson, il cui timbro è sempre pregevole e inerente alla situazione creata, istante dopo istante, soprattutto nello slow conclusivo. “Mad Dogs Of War” in avvio thrasheggiante, soprattutto in fase chitarristica, sfocia in un riff assassino e in un ritornello in cui il titolo è impresso a fuoco nella mente dopo varie ripetizioni, ancora una volta si rifugia in uno slow, che non ha nulla a che vedere con i precedenti. Stesso bit, diverse azioni al suo servizio. Ottima scelta quella d’inframezzare con un solo melodico strappalacrime della chitarra.

Il ritmo forsennato retaggio dei primi Autopsy e il ritornello scandito a gran voce di “Sickening Devotion”, fino al suo tempo slow, sono una sequenza perfetta di come dovrebbe essere il death metal moderno. Ricco di cambi di tempo, riff assassini e mai scontati e monotoni, e una precisione ritmica che mette in risalto l’ottimo drumming di Bean. “Necrotic Victory” è incentrata su un ritmo punkeggiante e su un domanda/risposta tra le chitarre e Jansson nella parte iniziale; nella seconda parte rallenta come da ‘legge’ ancora vigente e mette in atto un forcing che riesce a dar voce a un solo di chitarra in stile esotico, mentre il riff sottostante è di quelli che non riescono a bloccare la testa sul collo. Stessa sorte per “Maddening Aggression”, il brano più aggressivo del disco, sbattuto in faccia dritto come un treno, anch’esso intriso di rallentamenti durante il tragitto, con il solo atonale di chitarra che ci dà il colpo di grazia.

“Necronomic Warfare” merita un capitolo a sè, oltre ad essere il brano più lungo del disco. La sua intro quasi marziale in stile black metal staglia la melodia delle chitarre contro un tempo lentissimo, che presto rimette le cose in chiaro, tornando al punto di partenza con l’assalto in perfetto stile death metal, ordinato dal vocalist, sempre in primo piano e sempre più convincente. Le ultime tre tracce proseguono sulla falsa riga di quelle analizzate, continuando a regalarci emozioni finchè l’ultimo suono lasci spazio al silenzio. Solo a questo punto possiamo renderci conto del viaggio intrapreso insieme a questi quattro ragazzi, che, probabilmente non si renderanno conto di averci regalato uno dei dischi in perfetto ‘stile’ più interessanti e intriganti degli ultimi anni. 

Vittorio “versus” Sabelli
 

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