Recensione: New Era Viral Order

Di Matteo Bovio - 6 Luglio 2002 - 0:00
New Era Viral Order
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Anno: 2002
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85

Cambiamento di monicker, che vede i Maldoror rinominati in Thee Maldoror Kollective, ma anche radicale inversione di rotta riguardo allo stile: dopo un esordio rigorosamente Black, la band torinese apre le proprie sonorità verso ambienti strettamente connessi con l’elettronica e l’industrial. Avanti puristi, storcete il naso, e perdetevi una delle migliori uscite nel panorama italiano dell’anno…

Da un certo punto di vista questo lavoro è accostabile all’esordio dei Thorns: di questo è ricalcata perfettamente l’isteria di alcuni passaggi, anche se la sensazione generale è meno claustrofobica e futurista, e più incentrata su passaggi inquietanti ed angoscianti. Al sostrato Black metal si affiancano suoni e musiche tipicamente Ebm, nel senso più proprio del termine (per chi non lo sapesse la sigla sta per Electro Body Music); insomma, quasi come se la band si fosse incontrata con il ben noto :Wumpscut: per creare qualcosa del tutto nuovo. Un esperimento in linea di massima più che riuscito, con però qualche ritocco necessario qua e là.

La cosa più interessante è come abbiano saputo filtrare l’Ebm cogliendone così solo ed unicamente la parte più legata atmosfericamente al Black, quindi quella più inquietante; non siamo quindi di fronte ad improbabili alternarsi di parti danzerecce ed altre ricche di blast-beats. Forse non del tutto originale ma comunque ben riuscito l’inserimento di voci filtrate dal suono “robotico”; anche in questo caso non è una sensazione di gelido distacco ad emergere, ma un coinvolgente effetto angosciante. La bellezza di questo lavoro è proprio di non aver portato avanti un discorso che risolvesse in sè stessa la sperimentazione: questa diventa invece uno strumento usato sapientemente per raggiungere un ben preciso scopo, che coincide con la creazione di feeling tipici della scena Black rivisitati in modo nuovo.

Non mancano pezzi interamente elettronici, come ad esempio “La Flamme Vivant”, che andrebbe considerata più come un intermezzo che come un vero e proprio brano, o come la stupenda “Drain – Wound – Cosmosis (Iera Porneusis)”; questa traccia è l’esemplificazione di quanto detto da me sopra, ossia della capacità di cogliere l’aspetto più inquietante di un genere che di per sè presenta numerosissime sfaccettature. Ritrovo nelle prime due tracce, ossia “Xaos DNA Released” e “Haemorrhage Trasmission”, la maggiore espressione delle capacità di questa band: soprattutto nella seconda, un loop tanto classico (in campo elettronico) quanto accattivante integra perfettamente il suono, ponendosi come elemento complementare agli strumenti classici.

Un’ultima nota di merito per i suoni, veramente ben scelti, particolarmente per quel che riguarda la sezione ritmica. L’unica pecca di alcuni brani è che dimostrano una certa impersonalità, ossia mancano di quel qualcosa che li renda immediatamente assimilabili; un neo che, sono sicuro, il tempo colmerà abbondantemente. Non aspetto altro dunque se non il prossimo lavoro dell’ennesimo gran gruppo della nostra penisola.
Matteo Bovio

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