Recensione: New Gods

Di Marco Tripodi - 6 Settembre 2018 - 8:00
New Gods
Band: Cauldron
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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64

E giungono al quinto album in carriera (12 anni di carriera, per l’esattezza) i canadesi Cauldron, facenti parte dell’ondata della N(ew) W(ave) O(f) T(raditional) H(eavy) M(etal), acronimo che chiaramente fa riferimento alla fortunata stagione della New Wave Of British Heavy Metal e che con quella ha in comune l’entusiasmo e l’accostamento di band in realtà anche piuttosto differenti tra loro ma riunite sotto un’unica sigla, un trademark comune, in questo caso la simpatia, l’aderenza – e financo l’imitazione sfacciata – dei canoni del “vecchio” metal ottantiano, l’ortodossia insomma. I Cauldron per la verità sono teste di serie del movimento, assieme agli Enforcer (almeno a mio giudizio); firmare il quinto capitolo discografico della propria storia evidenzia come di fuoco di paglia non si sia trattato. La band è solida e oramai ampiamente collaudata, a tal punto che cominciano ad arrivare persino i primi segni di adagiamento, indolenza ed automatismo.

New Gods” è un concentrato di mid-tempos, nove tracce, anzi otto effettive (“Isolation” è un gradevole e suggestivo intermezzo acustico di quasi 3 minuti), che declinano l’oggetto “tempo medio” in ogni sfumatura e variante possibile. Sembra quasi una sfida questo album, i Cauldron sfrondano il proprio sound di qualsiasi orpello, abbellimento, trucchetto o dribbling di repertorio (ammiccamenti, accelerazioni, rallentamenti, assoli strappacore, etc.), all’insegna del “less is more“, come a dire: questa è l’essenza del metal, giudicate senza filtri e senza distrazioni, al netto di effetti speciali. Musica nuda e cruda, il cuore e l’anima. Semplici e diretti lo sono sempre stati sin dall’inizio (badate bene, ho detto semplici, non banali), l’immediatezza è un punto di forza del monicker Cauldron, così come l’innegabile ripiegamento a granchio sugli anni ’80. A questa schiettezza, tanto concettuale quanto esecutiva, la band mescola abilmente un sentimento di malinconia che arriva a confinare con l’esoterismo; Jason Decay, con la sua voce estremamente caratteristica, è il gran cerimoniere di queste atmosfere. Il suo timbro è un po’ come quello di Andres Zackrisson (primo cantante dei Nocturnal Rites) o di Andy Aldrian degli Stormwitch, ugole che certo non verranno ricordate per la incommensurabile estensione vocale o per la tecnica sopraffina, ma che ciononostante grazie alla loro personalità, riconoscibilità, carisma e intensità interpretativa, hanno saputo infondere un marchio indelebile alle canzoni dei rispettivi gruppi, arrivando a far emozionare il pubblico tanto quanto le imprese funamboliche di qualche usignolo virtuoso (se non di più). Ecco, Decaynomen omen – attarverso la sua guida al microfono lascia intravedere le vestigia di antichi imperi in disfacimento, solleva il velo su arcaici mondi edenici (magari dominati da divinità caotiche e “lovecraftiane” come quella ritratta in copertina), verso i quali proviamo un languore dolce-amaro, una istintiva nostalgia, la stessa che ci lega indissolubilmente al metal degli albori, quell’età mitica e perfetta dalla quale è scaturito tutto ciò che oggi ascoltiamo.

New Gods” è un platter consistente e quadrato, alcuni passaggi scintillano più di altri (“Prisoner Of The Past“, “Save The Truth“, “Down“), tuttavia si avverte il sopraggiungere di un senso di stallo, di intestardimento su una formula compositiva ampiamente rodata e battuta dai canadesi. Tra un pezzo e l’altro sussistono minime variazioni sul tema, lo spostamento impercettibile di addendi all’interno della somma il cui prodotto però alla fine non cambia. Lo stile c’è, la qualità e l’esperienza pure, i Cauldron sono riusciti nel tempo a dar vita ad un proprio mondo dentro il quale regnano incontrastati, epperò questo mondo sembra andare in una direzione entropica, come a richiudersi su se stesso, sublimando e perfezionando ogni luccichìo delle proprie volte gotiche ma anche intento esclusivamente a rimirare se stesso e godere della propria bellezza, come Narciso. Il risultato di questo processo è che “New Gods” è un po’ più sterile degli album che lo hanno preceduto, il confronto con “Chained To The Nite” o “Burning Fortune” ad esempio è oneroso, i Cauldron strada facendo hanno pesantemente edulcorato la scintilla, il che magari è anche fisiologico al quinto album. Già “In Ruin” mi aveva dato questa impressione, oggi brani come “Letting Go“, “No Longer“, “Last Request” confermano a mio avviso il trend decadente dei Cauldron, forse troppo sicuri del proprio valore. Tirando le somme, abbiamo superato un punto di non ritorno, rimane da capire cosa farà la band domani, cosa sceglierà più o meno consapevolmente, tra svoltare o spegnersi lentamente, in modo elegante ma inesorabile.

Marco Tripodi

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