Recensione: Nordavind

Di Daniele Balestrieri - 18 Marzo 2004 - 0:00
Nordavind
Band: Storm
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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78

Ritorniamo a parlare di due figure leggendarie del black metal norvegese: Satyr e Fenriz, i quali tutt’altro che stanchi di produrre un cospicuo numero di side project (Darkthrone, Isengard, Wongraven, Dødheimsgard e via dicendo), hanno continuato nel corso degli anni a saggiare il proprio talento creando e disfacendo gruppi a guisa di déi. Uno di questi, gli Storm, viene creato nel 1995, e chiamata al loro fianco l’ottima Kari Rueslåtten (cantante dei 3rd & the Mortal), il trio partorisce ciò che immediatamente definiscono “Norsk Nasjonalromantisk Musikk”, e che possiamo definire come folk nordico.

Quest’album, Nordavind (=vento del nord) rappresenta un capolavoro del folk minimalista scandinavo, un lavoro che ha sicuramente pari nel genere, ma non di questo taglio. Diciamo che questo è praticamente il “folk” per eccellenza, visto che folk significa popolo, e questo CD racchiude, almeno secondo Satyr e Fenriz, l’intero popolo norvegese. Ascoltate Nordavind senza testi e ne avrete percepito solo la metà. Se cercate tecnicismi non ne troverete: il glaciale minimalismo, molto darkthroniano, scorre tra i solchi del CD, e sentirete solamente un riff di chitarra ripetuto, una batteria suonata con la tipica cadenza di Fenriz e un cantato potente, che ricorda un Fenriz di Isengard o un Vintersorg. Particolare è l’intromissione di Kari, dotata di una voce sensuale e avvolgente, riesce ad essere drammatica ma allo stesso modo coinvolgente. Non è particolarmente interessante spiegare il CD traccia per traccia, in realtà. Troviamo una “Innferd” e una “Utferd“, ovvero un’inizio e una fine, puramente strumentali (particolarmente rabbrividente l’utferd, un bel pezzo strumentale di gran gusto nordico). Tra le 8 tracce seguenti troviamo molte canzoni orecchiabili e significative, come la seconda, “Mellom Bakkar og Berg” (=tra le colline e le montagne) dove un duetto passionale ricorda il duetto introduttivo di “Huldran” in Alvefard degli Otyg. Canzone pregnante, lirica, dove non solo le parole, ma anche i semplici suoni hanno densi significati. Infatti sentirete spesso entrambi i cantanti semplicemente gorgheggiare rincorrendosi, sotto le sferzate della chitarra di Satyr “Sir Wongraven”. Molto melodiosa la terza, “Haavard Hedde“, cadenzata, che vede semplicemente l’espressivissima voce di Fenriz intonare una ballata antichissima, con la consueta interpretazione che gli scaturisce direttamente dal cuore. Il gusto dell’antico non cessa, e con “Nagellstev” gli Storm (e Fenriz) raggiungono il minimalismo più totale, in una breve cantata in cui l’unico strumento è un tamburo cadenzato. Stessa storia per “Lokk“, la tentazione, in cui stavolta è Kari la solista, che disdegna persino il tamburo di Fenriz e preferisce cantare da sola nel silenzio più assoluto, come una ninfa che attrae, inganna e uccide. La stessa Kari ci dà prova di sé in “Langt Borti Lia“, la lontananza indistinta, canzone probabilmente tra le più complete dell’album, ancora una volta minimalista, ricca di cori e di passione. Indimenticabile probabilmente il capolavoro dell’album insieme a Mellom Bakkar, ovvero “Oppi Fjellet“, sulle montagne, una canzone grandissima, in cui un Satyr profondo ed esaltato canta una ritmica ossessiva, violenta, ce dimostra un amore assoluto verso la propria terra e un odio lacerante nei confronti dei cristiani che ne hanno invaso i fiordi più profondi e ucciso l’identità nazionale.

Proprio questo è stato uno dei punti più discussi dell’intero album. Il CD riporta in grafia la bandiera norvegese (che poi altro non è che una croce cristiana), e il libretto trabocca frasi molto legate alla terra di Norvegia (e in una pagina si vede anche la copertina di Høstmørke degli Isengard).

Appena uscì, quest’album fece molto scalpore in patria, e venne etichettato dalla maggior parte del pubblico come un CD dalle tendenze nazistoidi, con un’ossessione verso la conservazione dell’identità nazionale e la distruzione di tutto ciò che è diverso. Fenriz, Satyr e Kari vennero bersagliati da critiche pesantissime, e Kari cedette dopo poco tempo, dicendo che non era al corrente del vero significato di ciò che cantava. Fenriz e Satyr, al contrario, rimasero fedeli all’amore bruciante per la loro terra, e dissero che le accuse erano un mare di fandonie, che il loro era un amore viscerale senza secondi fini.

Questo è senza dubbio uno dei dischi seminali del folk scandinavo, forse per la sua grande purezza: nessun riff speciale, nessun tecnicismo: questo è cuore inciso su un CD. Se vi interessano atmosfere davvero perdute e il folk più diretto, non pensateci due volte. Di fatto, il 90% delle canzoni e delle melodie sono antichissime canzoni popolari, riscritte e suonate alla maniera del grande black norvegese. I significati a volte sono truci, ma una cosa è certa: se qualcuno vuole vederci per forza cose che non ci sono, ce le vedrà sempre. E forse la Norvegia a cui si ispiravano i due grandi patrioti del black è davvero sparita nel nero del tempo…

TRACKLIST:

1. Innferd
2. Mellom Bakkar og Berg

3. Haavard Hedde
4. Villemann
5. Nagellstev
6. Oppi Fjellet
7. Langt Borti Lia
8. Lokk
9. Noregsgard
10. Utferd

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