Recensione: Nordland II

Di Daniele Balestrieri - 30 Giugno 2003 - 0:00
Nordland II
Band: Bathory
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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95

Eccoci dunque di fronte, a distanza di pochi mesi, alla seconda parte della mostruosa opera viking-epica di Bathory: Nordland II. Il CD non si è fatto attendere, ed ha rispettato la eccellente data di uscita del 1° aprile. Temendo un pesce d’aprile davvero di pessimo gusto, per fortuna le aspettative si sono rivelate soddisfatte, e possiamo finalmente mettere le mani sul gemello più freddo, drammatico ed epico della precedente release. La copertina è esattamente speculare a quella del primo, e l’interno del CD vanta uno scenario decisamente più inospitale, come per farci capire che se il primo poteva sembrare uno scherzo, il secondo sarà tutt’altro che un’esperienza semplice.

Il CD si apre con una splendida strumentale, Fanfare, che vanta percussioni potentissime: il mio consiglio è quello di godere dei bassi che riesce a emettere questa piccola perla quasi sinfonica, che prepara in maniera più che dignitosa alle quattro epicissime canzoni d’apertura. Nemmeno a farlo apposta, infatti, l’amore di Quorthon per le percussioni potenti si scatena nella eccellente Blooded Shore, la gemella di Nordland nel CD precedente, nella quale la rigorosa cadenza epica è scandita in maniera ossessionante dai grandi, classici cori Bathoriani, che sottolineano genuinamente la drammaticità del testo, grazie anche a fraseggi classici che si ripropongono nel flauto di apertura della medievaleggiante Sea Wolf, che con cori e organi promuove una melodia quasi chiacchierata, come se volesse farci ascoltare primariamente ciò che comunica il testo, alternandolo a pause di ossessionanti riff ripetuti, quasi a simulare il beccheggiare delle navi o il continuo rullare delle onde in alto mare, in preda a una tempesta. Canzone molto simbolica, che ci comunica un viaggio che ci condurrà alle coste di Vinland, un autentico capolavoro di esasperata epicità Bathoriana che ci riporta agli enormi, fiammeggianti momenti d’oro di Shores in Flames, di Lake of Fire, di The Lake, di quelle enormità che hanno dannato per innumerevoli anni l’anima degli amanti del Quorthon più dannatamente epico ed evocativo.

Vinland propone cori profondi, trascinanti, aperture di refrain di un’epicità davvero dimenticata, tra il rabbioso infuriare delle onde oceaniche e il risuonare di corni vittoriosi, apertamente Wagneriani, di controllo, di comando, di conquista dell’uomo che utilizza la natura come alleata per le proprie conquiste. È una canzone visionaria, alienante, di quelle che fanno dimenticare di essere all’ascolto di un CD e offrono lo spettacolo di un’orda a bordo di navi dalla forma di drago che avvistano, tra i flutti, le coste canadesi di mille anni fa. E dopo i corni, un inizio decisamente heavy di batteria ritmata in stile Blow your Speakers (inquinato da melodie e cori bathoriani) ci portano alla caratteristca The Land, una canzone sicuramente più articolata delle precedenti, che ha bisogno di numerosi appigli per essere gustata, anche se la melodia portante, ancora una volta, risulta essere epica e fredda. Anche perché, dopo Vinland, ci si aspetterebbe che questa The Land parli della Vinland appena conquistata, e invece non è così. La canzone è dannatamente malinconica, ed è una dichiarazione d’amore nei confronti della terra natale di Quorthon, che si identifica probabilmente nello stesso bambino protagonista della canzone Baptized in Fire and Ice di Hammerheart – citazione facile da cogliere alla fine della canzone – e dichiara che quella terra è sua, è di chi la protegge, scalando i monti fino alla Baia di Asa, (e un ascoltatore molto attento percepirà un palese omaggio a One Rode to Asa Bay nel fraseggio finale dell’assolo di mezzo) aiutato da un’ottima chitarra dalle sonorità molto squillanti, acustiche, a sottolineare la passione degli intenti, passione che ci porterà a Death and Resurrection of a Northern Son – seguito anch’esso palese di Broken Sword. Tale canzone si apre apre con riff con riff velocissimi, quasi Octagoneschi, tanto da omologarlo a un pezzo trascinato, quasi thrash se non fosse interrotto drasticamente da una Bathorianissima vena epica e classica che ancora una volta riesce a trasformare una cavalcata barbara nelle rigogliose visioni naturalistiche che rappresentano i temi portanti di entrambi i Nordland. Il testo, che parla di un fiero figlio del nord che viene ucciso in un’imboscata, trova la sua massima espressione epica nel momento in cui si scusa, in un requiem molto solenne, della imperdonabile mancanza di non aver visto “il colpo che l’ha ucciso”. E quando riaprirà nuovamente gli occhi, alla sua morte verrà contrapposta la resurrezione alla corte di Odino, nel Valhalla. Probabilmente la grande, famelica visione del picco montuoso che nasconde le sale d’Oro del Valhalla ha ispirato il freddo interno della copertina del CD.

Non basta la resurrezione: con The Messenger Quorthon ci trascina in un altro pezzo ossessionante, sullo stile di Sea Wolf. Una canzone allarmante, scomoda, in cui si avverte un pericolo imminente, un pericolo che attacca da ogni lato, con il testo che parla di navi tese ora contro le coste di Vinland, ora contro le coste di Asa Bay, con il passaggio di cavalli da ogni lato: ancora una volta Nordland mostra il suo palcoscenico teatrale, il suo sipario, in cui la musica si trasforma in opera e la voce in immagini, devote alla totale immersione, coinvolgente e faticosa, dell’ascoltatore. Gemella di The Messenger la seguente, Flash of the Silverhammer, in cui la solita chitarra sporca Quorthoniana (inspiegabilmente privata, in questo lavoro, della “zanzarizzazione” tanto discussa nel CD precedente, specie in Foreverdark Woods). La basicità del cantato è quasi assimilabile a quella di Dragon’s Breath, senza però raccoglierne l’eredità acida e dolorosa, ma al contrario esaltandone la parte rumoristica e prettamente epica, grazie a lunghi assoli conditi da tuoni e rumori di remi, un grande classico fin da Hammerheart. Segue infine The Wheel of Sun, uno stacco triste, melodioso e malinconico come il lungo avvicendarsi delle stagioni nelle grandi terre del nord. Canzone triste, evocativa, rassegnata, come grande classico dei migliori album dei Bathory… l’impressione di chiusura è quasi la stessa che chiuse, tanti anni fa, Hammerheart… nei toni e nella pericolosità. In The Wheel of Sun c’è qualcosa di inquietante, qualcosa di drammatico, che si presta a troppe interpretazioni. A me personalmente mette paura, Quorthon è fatto così. Nordland I e II sono state per lo più richieste dei fans, come lo fu Blood on Ice. È come un sipario. Il testo è equivoco, e le cadenze malinconiche sono difficilmente digeribili. E poi… non so come dirlo, ma questo disco per i Bathoriani con una certa esperienza è davvero una lama nel cuore.

L’ultima traccia, la numero 10, che passa semplicemente con il nome di “instrumental“, è identica all’ultima traccia strumentale di Hammerheart. C’era qualcosa in questo CD che non tornava, e questa è la summa. Se non fosse, ovviamente, che quella di Hammerheart dura 54 secondi, e questa solo 15. Ma questo legame è pauroso. Cosa ci vuole dire Quorthon? Cosa ci ha comunicato? Cosa mai avrà nascosto in Nordland II, ora che stanno iniziando ad affiorare le prime, sottili, impalpabili connessioni di Nordland I, cosa scopriremo tra qualche mese, quando Nordland II inizierà a dare il meglio di se a quelli che lo stanno studiando, come una reliquia, un prezioso messaggio di Quorthon che ora ci ha lasciato nel buio più completo?

Insomma, Nordland II è una cesura degna di Nordland I. Un lavoro impressionante, di una nordicità esasperata, gloriosa, nella globalità addirittura più epico e sostenuto di Nordland I. Quorthon ha saputo dosare con maestria i capolavori tra le due release, ha prodotto materiale che non invecchia di un giorno se paragonato a Blood on Ice o Hammerheart, o a Twilight of the Gods. C’è epos, c’è drammaticità, c’è ritorno alle radici, al folk, all’epico più selvaggio e indiscriminato, lontano dal fragore di Under the Sign of the Black Mark, dalla ridondanza degli Jubilaeum o dalla imperdonabile indecisione di Destroyer of Worlds. Il viking epic metal si è impossessato di due grandi gemme, per il futuro si vedrà. Nordland II è degno compare, maestro, allievo, fratello, discepolo e alleato di Nordland I. Merita tutta l’attenzione del mondo, con quanto ha fatto guadagnare al genere. Anche questo prenderà 95, ma è un 95 del tutto aleatorio: se acquistato insieme a Nordland I e visti entrambi sotto un’ottica unitaria, prendetelo come un mostro a due teste, un mostro a due teste da 99. E non parlatemi di registrazione scadente, Odino abbia pietà di voi.

Daniele “Fenrir” Balestrieri

TRACKLIST:

1. Fanfare
2. Blooded Shore
3. Sea Wolf
4. Vinland
5. The Land
6. Death And Resurrection Of A Northern Son
7. The Messenger
8. Flash Of The Silverhammer
9. The Wheel Of Sun

10. instrumental

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