Recensione: Of Decay and Desire

Di Matteo Lavazza - 15 Novembre 2003 - 0:00
Of Decay and Desire
Band: Dark at Dawn
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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87

Davvero uan piacevole sorpresa questo “Of Decay and Desire” dei Dark at Dawn, gruppo tedesco arrivato al quarto disco ma che purtroppo non avuto avuto mai modo di sentire.
Fin dall’iniziale “Sleepwalker” si capisce subito che non si ha a che fare col solito gruppo Power di matrice tedesca, bensì con una band dedita a sonorità sì di scuola germanica, ma decisamente molto Metal, con un tocco di epicità che dona al tutto un sapore piuttosto particolare.
L’unica band che mi viene in mente come paragone sono i Falconer, anche se la voce sporca e cattiva del singer Thorsten “Buddy” Kohlrausch dona al tutto un tocco piuttosto particolare.
La band, e soprattutto il batterista/chitarrista/tastierista non che maggior compositore del gruppo Torsten Sauerbrey, è riuscita a confezionare un album davvero bello, in cui riesce a mescolare molte atmosfere diverse, passando da canzoni veloci come tipo “End of Ice- Warriorqueen”, che pur viaggiando come già detto su ritmi abbastanza sostenuti riesce a mantenere una certa epicità, grazie soprattutto alle ottime linee vocali, “Maid of Stone”, che unisce una strofa davvero pesante ad un ritornello veloce dotato di una melodia davvero avvincente, “The 5th Horseman”, dotata di un riff davvero splendido, di quelli che si stampano nella testa e ci si ritrova a fischiettare senza nemmeno accorgersene oppure “One-Night Fall”, in cui “Buddy” una prestazione vocale davvero degna di nota, aggressivo ma allo stesso tempo in grado di far risaltare le ottime melodie che accompagnano sempre le canzoni dei Dark at Dawn, dall’altro lato troviamo canzoni più lente, tipo la splendida “Luna”, un ottimo esempio di come sia ancora possibile scrivere delle Power ballad che non siano banali o scontate, basta avere un po’ di fantasia compositiva e soprattutto la capacità di tirare fuori melodie vincenti, una capacità che la band dimostra assolutamente di avere per tutta la durata dell’album.
Anche pezzi come “Forever”, “Soulitude” oppure la conclusiva “The Rose of Tears”, in cui compare anche una voce femminile, non fanno altro che rafforzare l’idea di trovarsi di fronte ad un gruppo che ha davvero molto da dire.
I suoni risultano abbastanza convincenti, anche se da questo punto di vista una maggiore aggressività in alcuni frangenti avrebbe potuto giovare non poco al disco.
Tecnicamente la band è decisamente ad un buon livello, pur senza fare nulla di incredibilmente complicato riesce a dare la giusta atmosfera ad ogni pezzo.
Come ho già detto in apertura questi Dark at Dawn sono stati per me un sorpresa davvero piacevole, sarebbe un peccato se un disco di questo livello passasse inosservato.

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