Recensione: Of Despair

Di Giuseppe Casafina - 9 Aprile 2016 - 12:30
Of Despair
Band: Horrified
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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55

La vastità di scelta che oggi offre il mercato dei dischi è, si sa, disorientante.

A dir poco oserei dire, dato che il mercato è saturato da ogni genere di uscita: i bei tempi del campare di musica sono forse finiti per sempre, e toglierei anche il forse, dato che tanta quantità non aiuta certo la qualità delle proposte.

Mi chiedo, onestamente anche molto spesso, in base a quali criteri vengano selezionati act di caratura discutibile, scelte che mi lasciano sorgere innumerevoli dubbi sulle doti dei cosiddetti ‘talent scout’ di oggi, gente che tipicamente apre etichette unicamente per sport, allo scopo di ostruire pesantemente il mercato: il mio è un discorso generalista, rivolto a nessuno in particolare, messo su unicamente per introdurre un gruppo come appunto i britannici Horrified.

 

I Nostri, dediti ad un death melodico in purissimo stile svedese, hanno da poco tempo rilasciato sul mercato “Of Despair”, disco infarcito appunto di quelle sonorità che fecero grande la Svezia nella seconda metà degli anni ’90 (nella prima metà vi era il mio amato Swedish Death Metal della vecchia scuola, che ho sempre preferito): melodic death appunto, ‘blackizzato’ quanto basta (la promo in mio possesso cita Dissection come ensemble di paragone non a caso, direi) e con una produzione sufficientemente fredda e ‘notturna’, quanto basta per non far mai annegare il disco in binari puramente black, con distorsioni sature ma dal feeling marziale e gelido, in grado di farci assaporare un certo feeling ‘death’ di fondo.

Una produzione che insomma è pienamente in linea con il genere da un certo punto di vista, ma poco riuscita da altri e per spiegare ciò, prendiamo ad esempio proprio l’iniziale ‘Palace of Defilement’: da una opening track si dice che ci si debba aspettare tutti i tratti salienti di quello che sarà il disco, si tratta del discorso introduttivo di un’opera in fondo….e se invece quei tratti salienti, quelle peculiarità tipiche di un’opera fossero allo stesso tempo anche i principali, piccoli difetti di quest’ultima?

Un’opera artistica come‘Of Despair’, appunto, rientra pienamente in quest’ultima descrizione, ma andiamo con ordine.

 

Personalmente il disco non ha mai ‘graffiato’ il mio animo, pur non essendo chiaramente disprezzabile: c’è un buon sound di fondo, ci sono variazioni di tempo ed atmosfera, insomma c’è qualcosa. Ma se quel qualcosa non ti colpisce, allora è inutile perderci la testa ed invece io sono un tipo tenace: ci riprovo, ma nulla.

E ci ho provato un numero sufficiente di volte per capire che alla fine secondo il mio modesto punto di vista siamo al cospetto di un disco ben suonato tecnicamente parlando, ma con un’assenza di personalità preoccupante: il che si riflette in parte del songwriting, che spesso appare confuso e privo di mordente, se poi sommiamo il tutto ad una produzione che spesso affossa i brani invece che valorizzarli, direi che le cose si compilicano non di poco….basti pensare alla voce che spesso emerge a fatica durante l’ascolto dei brani, difetto che si ripresenta spesso anche in altri episodi del disco, senza contare quei passaggi in cui ci sembra essere veramente troppa carne al fuoco nello stesso momento, con il risultato di disorientare l’ascoltatore.

Ma alla fine si tratta di difetti minori perché, è ampiamente risaputo, i grandi dischi si fanno con le grandi idee e la produzione è solo un valore aggiunto: ma, ahimè, e sottolineo il mio dispiacere nell’esprimere questo giudizio, questo disco ha purtroppo provocato un vuoto dentro di me. E’ un qualcosa che ho percepito sin dalla fine del primo ascolto del platter, un qualcosa che non saprei come spiegare…per non farla troppo cattiva, direi che ad un disco come questo manca una vera anima di fondo, risultando come un grande oceano dove galleggiano tante idee della vecchia scuola, ma afflitto da determinate condizioni climatiche che soffiano a svantaggio dell’armonia generale.

 

Tirando le somme, qui dentro c’è qualcosa che non si incastra, sia dentro di noi che nel disco stesso e mentre la musica scorre, la ascolti, ma ti rimane schiantata sullo stereo e non ti ‘entra dentro’, per così dire.

Un disco comunque non disprezzabile, che consiglierei solo agli amanti sfegatati del melodeath anni ’90: un episodio musicale pienamente nostalgico in tutto e per tutto (anche a livello di artwork, oserei dire), sicuramente appassionato ed altrettanto sicuramente concepito con buone intenzioni di fondo, ma personalmente (ci tengo a sottolineare quest’ultimo termine) ciò non basta per creare qualcosa di musicalmente soddisfacente.

Di sicuro gli Horrified non fanno assolutamente parte di quei casi disperati da me accennati nell’introduzione, ma sono certamente una realtà che deve ancora trovare una propria identità per emergere in misura dignitosa: qualche buona idea non manca, ma purtroppo il tutto viene affossato da una nebbia di fondo che genere solo noia e confusione nei casi più gravi, oppure indifferenza totale nella maggior parte degli ascoltatori più o meno esigenti.

Un disco nella media insomma, senza tratti particolari.

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