Recensione: Of Fate and Sanity

Di Daniele D'Adamo - 16 Giugno 2017 - 0:00
Of Fate and Sanity
Band: Apallic
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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74

Illdisposed, In Mourning e… Apallic.

Un terzetto accumunato da uno stile musicale abbastanza similare, la cui menzione serve a mettere a fuoco cosa siano gli Apallic stessi e il loro full-length di debutto, “Of Fate and Sanity”.

Trattasi di death metal massiccio, possente e robusto, quindi. Senza fronzoli né orpelli. Che va dritto al sodo. Così come vanno subito al sodo i Nostri dopo il breve incipit ambient ‘Iter Initium’. ‘The Awakening’ è infatti una tremenda mazzata sui denti, un muro di suono devastante. Fondato principalmente sui mid-tempo in doppia cassa, anche se non si disdegna di sfondare la barriera dei blast-beats.

La melodia non è molto presente, nel disco, seppure in certe occasioni (‘Mental Prison’), faccia capolino un pizzico di armoniosità. Peraltro sempre su una pietanza che fa della furia e della rabbia il proprio sapore distintivo. Proprio in occasione della song appena menzionata gli Apallic operano un deciso rallentamento durante il break centrale, dimostrando con ciò di saper usare con abilità anche il fioretto, assieme alla spada.

Non a caso, la successiva ‘Masked Insanity’ possiede un mood piuttosto serio e drammatico, frutto del gran lavoro delle chitarre, abilissime motoseghe quando la sede è quella ritmica, buone cesellatrici di soli quando il palcoscenico è quello solista (‘Days Before the Black’). Il grintoso growling di Eike Scheubach è un po’ monotono ma, forse, è proprio quello che ci vuole per garantire la monoliticità senza compromessi posseduta dalla struttura del combo di Emden.

Una monoliticità che non impedisce al quintetto della Bassa Sassonia di avere una certa abbondanza compositiva. Intesa nella capacità di creare parecchie sezioni sì fedeli ai dettami di partenza ma numerose e varie. Difatti, le dieci canzoni presentano una durata complessiva di oltre cinquanta minuti. Grazie, anche, alla lunga suite finale, ‘A Taste of Lethe’, indicativa, se non altro, di un coraggio non comune nel volersi mettere in gioco.

È però con le fast-song tipo ‘Deranged’ e ‘Leaking Hourglass’ che, a parere di chi scrive, gli Apallic danno il meglio di sé. La loro indiscutibile perizia tecnica consente loro di assumere andature rapide mantenendo una pressoché perfetta qualità di esecuzione. Molto efficace e pulita. Dote che merita di essere evidenziata con la giusta enfasi:  Scheubach e soci, pur essendo alla loro Opera Prima, ci sanno davvero fare, con gli strumenti, e lo lasciano intendere a ogni singolo passaggio, a ogni singolo accordo. Inoltre, anche un breve intermezzo arpeggiato quale ‘Iter Ex Umbra’, fa capire che può essere percorsa con pari soddisfazione anche una strada più melodica.

Una formazione completa, insomma, che ha nelle sue corde tutto quanto necessario per far bene ai massimi livelli.

Alla prossima, allora.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

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