Recensione: Omertà

Di - 28 Marzo 2012 - 0:00
Omertà
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Anno: 2012
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69

Adrenaline Mob, l’ennesimo progetto per Mike Portnoy.
L’ex batterista dei Dream Theater, dopo la dipartita dalla band madre e le collaborazioni con Transatlantic, Neal Morse e Avenged Sevenfold, è in continua e costante ricerca di se stesso e di una nuova espressività artistica, forse non ancora trovata: per tale ragione ha raccolto attorno a sé musicisti del calibro di Russel Allen (Symphony X) alla voce, il chitarrista solista Mike Orlando (Stomp, Stomp 2), e John Moyer (ex Disturbed) al basso, musicista subentrato a Paul Di Leo uscito dal gruppo subito dopo la registrazione dell’album, a cui va dato il merito di sapere dialogare egregiamente con la batteria di Portnoy.

Dopo la pubblicazione nel giugno del 2011 dell’EP “Adrenaline Mob”, arricchito tra l’altro, con una reinterpretazione di “The Mob Rules” dei Black Sabbath e qualche performance live, ecco l’uscita di “Omertà”, album in cui i suoni prog che ci attenderemmo di sentire – vista la line up di tutto rispetto – passano decisamente in secondo piano, sostituiti da un misto tra groove, hard rock e heavy metal in cui soprattutto Allen pare sentirsi a proprio agio dando una prova vocale decisamente convincente.

L’album si apre con la violenta “Undauted”, brano che è anche il singolo di questo debutto, descritto da Orlando come “that’s our fight song”: definizione difficile da smentire, visto che i pesanti e taglienti riff di chitarra e la potente voce di Allen colpiscono veramente duro, scaricando una rabbia e un’intensità tale che potrebbero tranquillamente essere paragonate a quelle di un boxeur verso il sacco durante l’allenamento. Un pezzo che di certo ha bisogno di ben più di un ascolto per farsi bene accettare e per far bene accettare una chitarra veloce quanto fredda nell’esecuzione degli assolo.

A seguire, arriva un trittico di pezzi assolutamente efficace sia nell’esecuzione, sia nella sequenza: “Psychosane”, ove Portnoy aumenta il ritmo con le sue precise rullate, seguito da un basso per nulla intimorito. Allen regala una performance stratosferica ed anche la chitarra, grazie all’uso della pedaliera, crea effetti che donano una grande energia al pezzo: impossibile non esserne travolti. “Indifferent” già dalla prima strofa, “ looking back on my life” ci mette di fronte ad un pezzo più riflessivo, dalle linee vocali più proprie dei Symphony X: chitarra e batteria viaggiano separate, per poi ritrovarsi e sostenere il coinvolgente refrain. Infine, “All On The Line”, metal ballad interpretata in modo sofferto da Allen, brano che spezza con la melodia la forza delle esecuzioni precedenti,  ben posizionato in scaletta, e contenente forse l’assolo più ispirato di Orlando.

“Hit the Wall” segna il ritorno su alti ritmi, le sonorità ricordano i Led Zeppelin, cosa che sarebbe anche gradevole per dare un’interpretazione rock al tutto, peccato che l’incessante batteria ed alcuni assolo freddi e inutili, rovinino una canzone che avrebbe potuto prendere un’altra piega.
Con “Feelin’ Me” poi una domanda non può che sorgere spontanea: se devi usare gli stessi volumi e gli stessi settaggi di chitarra di Zakk Wylde, perché non rivolgersi direttamente a lui? Qui tranne il solito Allen che cerca di salvare il salvabile, siamo davanti a un brutto tentativo di copiare proprio i Black Label Society, segno di una iniziale scarsa presenza di idee. A risollevare l’album ci deve pensare “Come Undone”, cover dei Duran Duran che vede anche la partecipazione di Elisabeth Hale degli Halestorm: una traccia assolutamente ben eseguita e incattivita dalle rispettive interpretazioni dei due cantanti.

“Believe Me”, seppur caratterizzata da un buon groove e da un Portnoy sempre presente, risulta troppo simile a “Cowboys From Hell”  nella struttura; il calo di idee continua in “Down to the Floor”, che non aggiunge nulla di più di quanto si è detto finora, ottime prove dei singoli ma poca fantasia.

“Angel Sky”, seconda ballad dell’album, meno intensa ma più movimentata della prima, precede il pezzo con cui si conclude l’ascolto. “Freight Train”, dove il confine del thrash viene quasi sfiorato: i tecnicismi dei quattro musicisti sono più che evidenti, il crescendo di chitarra e batteria riempie l’aria e il cantato risulta potente e rabbioso come in apertura, peccato che il tutto si infranga su un ritornello dei più ridicoli.

“Omertà” risulta alla fine dei conti un album metal ricco di alti e bassi, un nuovo progetto che, nonostante la buona prestazione di Allen, Portnoy dovrebbe rifinire meglio, con una maggiore cura per un songwriting troppo spesso banale e per una chitarra possibilmente con meno fronzoli e più sostanza.

Ora non resta che vedere che cosa riusciranno a combinare dal vivo, e capire se questo nuovo sodalizio avrà un seguito o meno, visto che, da musicisti così, ci si aspetta molto di più.

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Tracklist:

01)    Undauted
02)    Psychosane
03)    Indifferent
04)    All On The Line
05)    Hit The Wall
06)    Feelin’ Me
07)    Come Undone
08)    Believe Me
09)    Down To The Floor
10)    Angel Sky
11)    Freight Train

Line Up:

Russell Allen – Vocals
Mike Orlando – Guitars
John Moyer – Bass
Mike Portnoy – Drums      

 

 

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