Recensione: On Through The Night

Di mike_deflep&ledzep - 2 Ottobre 2004 - 0:00
On Through The Night
Band: Def Leppard
Etichetta:
Genere:
Anno: 1980
Nazione:
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85

Sono un po’ emozionato mentre mi accingo a scrivere la mia prima recensione su Truemetal, che si occuperà del bellissimo esordio dei Def Leppard, “On Through The Night”. Parlare di esordio è però improprio, infatti il gruppo di Sheffield (formatasi nel 1977 per volere di Joe Elliott) aveva già inciso, nel 1979, un miniEP dal titolo “Getcha Rocks Off”, oggi praticamente introvabile e perciò oggetto di affannose ricerche da parte dei collezionisti. Questo è quindi il primo LP della band, pubblicato dalla Vertigo nel marzo 1980, e sarà destinato a diventare un capitolo importantissimo della NWOBHM, della quale i Def Leppard saranno gli esponenti più famosi insieme ad Iron Maiden e Saxon. La line-up di allora vede il mitico Joe Elliott alla voce, con il suo inconfondibile timbro vocale, il quasi – guitar hero Steve Clark e il buon Pete Willis alle chitarre, Rick Savage al basso e Rick Allen (allora appena 18enne) alla batteria.
Il disco viene accolto dalla madrepatria Inghilterra piuttosto freddamente, ma esso fa breccia negli States dove ne vengono vendute moltissime copie. Proprio sulla scia di questo primo successo la band farà da spalla ai tour di Ac/Dc e Ted Nugent, riscuotendo un buon successo e molti favori, anche in Europa.
Musicalmente quest’album è un po’ diverso dai canoni a cui la band ci abituerà con i successivi High ‘N Dry e Pyromania (comunque diversi fra loro): “On Through The Night” è probabilmente meno melodico dei due appena citati, e presenta notevoli influenze da parte del classico rock all’americana.
La voce di Joe Elliott non è ancora al livello degli album successivi, ma la prova del singer è più che convincente.
E’ invece impressionante la prova dei due chitarristi, specialmente di Steve Clark, e del batterista Rick Allen; ottimo il lavoro svolto da Savage al basso.
Ma partiamo con l’ascolto e la descrizione di queste 11 canzoni. Ovviamente, volume al massimo.

Con un roccioso riff di chitarra , accompagnato dal drumming di Rick, inizia l’opener Rock Brigade, un pezzo di cui apprezzo soprattutto l’ottimo refrain, dove un coro che ripete “Rock Brigade” risponde al cantato di Joe. Le strofe sono incalzanti quanto basta e l’assolo è ottimo e ben confezionato. Dopo quest’ultimo la canzone rallenta un poco (ma solo per pochissimo) per poi ripartire con il riff iniziale sostenuto da una batteria frenetica. Ottima opener, anche se non eccezionale, a mio parere.

La seconda traccia Hello America si apre con un coro che ne scandisce il titolo per poi esplodere in un altro riff indovinatissimo. Il pezzo è abbastanza simile all’opener, infatti si tratta di sanissimo heavy rock all’americana con un refrain sostenuti dal coro che risponde al cantante. L’assolo però (a mio parere) è molto più emozionante di quello presente sulla opener. Verso metà della song il coro intona una melodia orecchiabilissima sostenuta solo dal drumming di Rick, per poi concludere la canzone con il coinvolgente ritornello. Un altro centro, probabilmente siamo un gradino sopra la opener.

Ed eccoci alla prima vera gemma del disco, a mio avviso, ovvero la grande Sorrow Is A Woman. Dopo un inizio in pompa magna, la voce di Elliott, dolce e melodica, è sostenuta da un arpeggio malinconico di chitarra acustica, salvo nel ritornello, decisamente più heavy ma che mantiene la sensazione di malinconia creata dalle strofe. L’assolo, frenetico ma melodico, stavolta è veramente grandioso, forse la parte migliore della canzone, la voce di Joe tiene l’ascoltatore col fiato sospeso fino all’arrivo del ritornello, che conclude magnificamente la song.

E’ il turno di It Could Be You, e stavolta si viaggia alla velocità della luce. Un riff velocissimo che potrebbe essere usato anche da un gruppo thrash, apre la canzone, seguito da uno scream di Joe. La song è velocissima, con un ritornello divertentissimo ed un assolo breve ma eseguito a trecento all’ora! Devastante e divertente: cosa chiedere di più?

Tocca a Satellite rinfrescarci le orecchie. Il pezzo è molto heavy, con chiusure vocali in fade out prima del refrain che fanno venire la pelle d’oca; proprio il refrain però non mi convince appieno. L’atmosfera molto soft che si viene a creare dopo il secondo ritornello viene lacerata dall’ottimo assolo, più violento dei precedenti. In definitiva grande song da sentire e risentire, ma personalmente non la considero una vera e propria gemma.

Discorso diverso per la sesta traccia, ovvero la bellissima ed emozionante When The Walls Came Tumbling Down. Un triste arpeggio di chitarra fa da sottofondo ad una narrazione fuori campo che ci introduce nel clima della song, che diventa improvvisamente un’incalzante cavalcata sostenuta da un cantato non frenetico, ma piuttosto espressivo. Il refrain (orecchiabilissimo e melodico) è perfettamente in linea con il brano e ci introduce al grande assolo, uno dei migliori dell’album, veramente emozionante e coinvolgente.

Wasted inizia con uno dei più bei riff che abbia mai sentito, incalzante e minaccioso allo stesso tempo. La canzone è dannatamente heavy sounding, e se le strofe sono bellissime, il chorus non è da meno, essendo veramente roccioso, con quel “WASTED!” ripetuto più volte che invita ad un headbanging sfrenato! Il pezzo accelera leggermente nella parte centrale portando ad un assolo non velocissimo ottimamente eseguito. Unica pecca di questa canzone è forse la conclusione, veramente troppo drastica e secca. In ogni caso, un’altra perla. Lode in particolare alle chitarre.

Rocks Off è un’altra canzone rapidissima, che inizia on urla di fans in sottofondo. Siamo sulle coordinate di “It Could Be You”, ma Rocks Off mi convince ancora di più, soprattutto per l’atmosfera “Loud ‘n’ Proud” che si respira durante tutta la canzone. Verso metà della song il ritmo si fa improvvisamente oppressivo ed incalzante, grazie ad un basso magistrale, per poi esplodere in uno sfrecciante assolo che però non riesce a prendermi più di tanto.

Il brano che mi convince di meno del lotto è probabilmente It Don’t Matter, song cadenzata le cui strofe non sono proprio originalissime, e il ritornello è davvero banale. Ottimo assolo, ma nulla di più.

Di tutt’altra pasta è fatta l’incredibile Answer To The Master. La canzone sembra coniugare la cadenza della precedente song, l’orecchiabilità delle prime due ed un pizzico di pathos di “Sorrow Is A Woman”. In ogni caso il risultato è spettacolare, diverso da tutte le song appena citate. La parte centrale è veramente da 10 e lode, introdotta da un microassolo di batteria di Allen, per poi continuare con frenate e ripartente che sfociano in un incredibile giro di chitarra che mi ipnotizza veramente le orecchie, a cui segue un grandissimo assolo, probabilmente uno dei migliori dell’album. Ai livelli di Walls e Sorrow: ovvero stratosferici.

E così siamo arrivati all’ultima song, che a mio parere è non solo la migliore del disco, ma in assoluto la miglior canzone dei Def Leppard e una delle prime 20 di tutta la NWOBHM. La canzone in questione è Overture. Un dolcissimo arpeggio di chitarra acustica introduce la song, i cui primi 2 minuti sono praticamente una ballad commovente e coinvolgente col cantato di Joe sostenuto spesso dal coro che farebbe convertire persino un truzzo da discoteca. Dopo questi due minuti la song esplode diventando una cavalcata incalzante (sono un po’ fissato con questo aggettivo ma è perfetto per descrivere le canzoni) che però non ha dalla sua solo potenza e velocità, ma anche melodia e feeling da vendere. Anche in questo caso l’assolo è perfetto. Le chitarre duellano col basso fino al ritorno della dolce atmosfera iniziale con la quale si chiude il pezzo.

Ecco, così si conclude un album epocale, un capitolo fondamentale della NWOBHM, e che rappresenta per me il miglior album dei Def Leppard, insieme a Pyromania.
Sia sempre lode a questa magnifica band.

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