Recensione: Once Upon The Cross

Di Vittorio Sabelli - 7 Aprile 2012 - 0:00
Once Upon The Cross
Band: Deicide
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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90

Con “Once Upon The Cross”, uscito a distanza di tre anni dall’acclamato “Legion”, i Deicide chiudono il cerchio di quella che sarà la trilogia che li ha resi famosi in tutto il mondo e che, insieme all’omonimo album di esordio, chiude anche il primo, ed anche il migliore e più ispirato, ciclo artistico della band.
Come in tutta l’arte in genere, la soggettività è vitale per qualsiasi opera e artista, quindi non staremo qui a discutere su quale sia dei tre il miglior disco, poiché a mio avviso ognuno di essi è il degno seguito del precedente, e conferma lo stile del gruppo.

‘Once Upon The Cross’ è, a parer mio, il risultato dell’esperienza accumulata dai Deicide dal loro esordio, con un tiro meno ‘grezzo’ e violento dei primi due dischi, ma con nuovi elementi che rendono loro giustizia soprattutto grazie al songwriting, vario e interessante, all’eccellente produzione del solito Scott Burns, e al capolavoro dell’artwork.

Come si potrebbe onorare il titolo del disco se non con l’invocazione iniziale «father, why have you forsaken me?» dal Salmo 22 del Vangelo, in un background di tuoni e lampi, con subito cinque brevi stacchi che riprendono le sillabe di “Once Upon The Cross” introducendo il tono minaccioso di Blenton “Fear Him”? In tutta la canzone regnano tempi dispari e nella seconda parte («blashemy laughs at thee…») il ‘terzinato paranoico’ della voce diventa un elemento caratteristico del platter. Anche nella successiva “Christ Denied” i cambi di tempo repentini mettono Asheim in evidenza, mentre in “When Satan Rules His World” Benton crea una sorprendente poliritmia nella strofa a cui fa seguito una sezione black che porta al climax, con la declamazione del titolo del brano, che fa da risposta alle invocazioni del leader. Una curiosità: al combo di Tampa fu negata la partecipazione all’Hellfest a causa della profanazione di numerose tombe nelle vicinanze del concerto, sulle quali era stato scritto il titolo della canzone. “Kill The Christian” e “Trick Or Betrayed” sono caratterizzate dai ritornelli e dal contrasto tra tempi fast e medium, questi ultimi utilizzati in maniera massiccia in buona parte del disco, altra differenza rispetto a “Legion” e al primo “Deicide”.
“They Are The Children Of The Underworld” omaggia i grandi del thrash metal ma subito se ne stacca con Asheim che detta ritmiche assurde sulle quali il growl di Blenton s’innesta ancora una volta in maniera eccelsa, e il ritornello, al pari della maggior parte del platter, è di quelli difficili da dimenticare. I blast beats dell’intro di “Behind The Light Thou Shall Rise” sono il preludio di un altro brano, dove è in evidenza lo stile roccioso tipico della band, mentre “To Be Dead” ‘allenta’ per un momento la tensione prima della conclusiva “Confessional Rape”, incentrata su un riffing alla Slayer, che conclude il brano e questo terzo meraviglioso capitolo della saga Deicide.  

La voce di Blenton, sempre carismatica e accattivante, anche se dal punto di vista timbrico potrebbe risultare meno aggressiva dei precedenti lavori, si differenzia dal fatto che sia ‘incollata’ in maniera eccellente al riffing per tutto il disco e che, inframmezzata a tratti col terzinato sovrapposto al tempo musicale, sia tesa a creare un discorso ancor più vario. Ancora una volta in evidenza l’eccellente lavoro delle chitarre dei fratelli Hoffman, impronta stilistica di questa fantastica e storica trilogia.  

Vittorio “VS” Sabelli

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Tracce:
1. Once Upon The Cross 3:35       
2. Christ Denied 3:39
3. When Satan Rules His World 2:55       
4. Kill The Christian 2:58
5. Trick Or Betrayed 2:24       
6. They Are The Children Of The Underworld 3:09     
7. Behind The Light Thou Shall Rise 2:57       
8. To Be Dead 2:39
9. Confessional Rape 3:53

Durata 28 min.

Formazione:
Glenn Benton – Basso e voce
Eric Hoffman – Chitarra
Brian Hoffman – Chitarra
Steve Asheim – Batteria

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