Recensione: One Night In Madrid

Di Francesco Maraglino - 4 Dicembre 2009 - 0:00
One Night In Madrid
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Hard Rock 
Anno: 2009
Nazione:
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80

Jeff Scott Soto è un personaggio di spicco della scena hard melodica: in pista da almeno venticinque anni, è entrato nel giro che conta prestando la sua ugola dal timbro caldo e potente a Yngwie Malmsteen e ai suoi Rising Force, per poi cantare con gente come Eyes, Axel Rudi Pell, Takara, Humanimal e soprattutto Talisman.
Negli ultimi tempi è stato al centro delle cronache musicali anche grazie all’eccellente unico platter dei Soul SirkUS, che vedeva come axeman Neal Schon dei Journey, nonché per aver “soccorso” in tour quest’ultima, iconica band dell’AOR, quando la medesima si è trovata d’improvviso senza cantante (salvo poi giungere ad un improvviso divorzio nel giro di breve).

L’infaticabile JSS ha trovato negli anni il tempo di portare avanti anche un’apprezzata carriera solista, costellata da preziosi esempi di hard rock misti a cristallina melodia, come, tra gli altri, “Prism” (2002) e “Lost in Translation” (2004).
“Beautiful Mess”, full-lenght rilasciato nei primi mesi di questo 2009, ha però segnato un cambiamento di rotta nel percorso stilistico del singer statunitense che, dopo aver cantato tutto l’AOR e l’hard rock del mondo, ha deciso di orientarsi – peraltro in maniera efficace e piacevolissima – verso orizzonti soul e pop-rock.

“One Night in Madrid”, CD live – naturalmente doppio come è d’uopo nella migliore tradizione dei dischi dal vivo – ci fornisce un esauriente scorcio proprio della tournèe che ha accompagnato l’uscita di “Beautiful Mess”, distribuita tra USA, Europa e Sud America, che ha visto JSS esibirsi di fronte alla medesima audience del suo primo live-show da solista, quella madrilena.

Proprio “21st Century” – un rock’n’soul dall’incedere plastico ed elegante tratto dall’ultimo platter, introdotto da un riffone di chitarra come piace a noi – apre l’esibizione di Madrid, che però fa subito un salto all’indietro nel tempo con quella “Color My XTC” dei Talisman che, pur in ambito hard rock/AOR, non disdegna influenze rhythm’n’blues e rap.
“Lost in Translation” è presto rappresentato da “Soul Divine” (impreziosita da un ottimo lavoro di canto e cori nonché da un altrettanto pregevole lavoro di chitarra) e “Drowning”, due travolgenti gioiellini di hard rock melodico, inframmezzati dal pop-rock di raffinata fattura di “Our Song”, appartenente al repertorio più recente.
Repertorio recente – irrobustito, soprattutto grazie alle robuste bordate da parte dell’”ascia” di BJ, rispetto alla versione in studio –  che la fa da padrone fino alla fine del primo CD, a partire dal pop-rock pieno di aromi rhythm’n’blues e funky di “Mountain”, passando per il soul-rock di “Testify” per finire con la ballata poco power e molto soul, arricchita da gradevoli intarsi di chitarra elettrica, che prende il nome di “Broken Man”.
In mezzo agli estratti da “Beautiful Mess” si staglia un altro ripescaggio dal passato, e precisamente da “Prism”: l’AOR di matrice ottantiana “Eyes Of Love”.

Il secondo dischetto si apre ancora all’insegna del piacevolissimo pop-rock, questa volta in forma di ballata acustica dai tempi medi intitolata “Hey”, la quale ci introduce a due medley: il primo è un tuffo nel repertorio targato Talisman, con la loro suggestiva rendition di “Frozen” di Madonna, legata ad una un po’ confusa versione di “Crazy”; il secondo è un medley dedicato alle ballate pianistiche (che descriveremmo come “suggestivo” se non percepissimo di solito tali pout-pourri quali un mero insieme senza senso di brani monchi), che ci introduce alla canonica  “Gin & Tonic Sky”, anch’essa a base di piano & voce.
Quasi alla fine giunge il fantastico classicone melodic dei Talisman “I’ll Be Waiting”, naturalmente accolto dall’entusiasmo e dai cori del pubblico.

Non mancano gli encore: prima l’hard rock di “Stand Up”, il brano suonato dalla fittizia band Steel Dragon nel film “Rockstar”, ed infine un festoso “funky medley” in cui JSS si diverte a citare artisti e brani cari a lui ed ai rock fans come i Queen, ed altri di stampo decisamente “disco” di fronte ai quali parecchi visitatori di Truemetal inorridiranno.

“One Night in Madrid” è in conclusione un live che, pur confermando l’attrazione a volte pericolosa per suoni lontani dall’hard’n’heavy, non ci fornisce indicazioni certe sulla direzione artistica (soul o hard?) che JSS percorrerà nel futuro, visto che nella dimensione concertistica brani del nuovo e del vecchio corso si alternano senza fratture stilistiche particolarmente vistose.
Può rappresentare, però, un utile compendio della carriera di questo importante singer per l’ascoltatore che vi si approcci per la prima volta, comprendendo soddisfacenti esempi di tutte le sue molteplici sfaccettature.

 

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