Recensione: One Of Us Is The Killer

Di Tiziano Marasco - 17 Maggio 2013 - 18:00
One Of Us Is The Killer
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Anno: 2013
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85

Come è munifica questa primavera 2013 nel donarci sì diffuse gioie nel panorama death & affini ed in così breve periodo. Nemmeno esaurita la meraviglia risvegliata dall’ottimo Pelagial (The Ocean), appena diciassette giorni dopo è la volta di un’altra delle band che il nuovo millennio ha rivelato ai nostri bistrattati orecchi come un’autentica sorpresa. Stiamo parlando degli statunitensi The Dillinger Escape Plan, che tornano a solcare la scena con il nuovo “One Of Us Is The Killer”, forse una delle uscite più attese dell’anno, e non solo in ambito estremo. Uscita attesa a buon diritto, un po’ a causa del successo sempre maggiore ottenuto da Weinman e soci su ambo le sponde dell’Atlantico e un bel po’ perché i nostri, soprattutto da “Ire Works” in poi, sono riusciti ad imporsi come una delle band più originali in circolazione, non solo per quanto riguarda la scena metallica.

I lemma metalcore e technical deathcore, categorie in cui i DEP sono sempre stati fatti rientrare a viva forza, vanno infatti davvero stretti alla band californiana, che negli ultimi anni si sta allontanando sempre più dalle spigolosità del genere in favore di soluzioni molto più fluide e di divagazioni che di metalcore (e di metal) non hanno più nulla. Non è metalcore, non è death tecnico, non è sludge, non è prog, ma qualcosa che ingloba questi tre generi e li fonde alla perfezione, sebbene in percentuali diverse. La miscela ottenuta viene poi caricata di una forte attitudine melodica propria dell’alternative rock americano, se non del post-grunge, attitudine che trapela comunque a dispetto di una violenza sonora sempre e ancora devastante.

“One Of Us Is The Killer” prosegue questo discorso laddove si era fermato “Option Paralisis“, pure con una maturità se possibile ancora maggiore. Non deve infatti ingannare il magma mutevole della opener “Prancer” o del primo estratto “When I Lost My Bet”, due scariche di adrenalina ad alto tasso tecnico e struttura estremamente arzigogolata. La title track, in terza posizione, pur essendo il pezzo meno dillingeriano del disco, presenta magnificamente l’ultima fatica dei DEP come un lavoro estremamente disciplinato (cosa che si nota pure dal minutaggio contenuto di tutti gli undici brani), ma anche estremamente votato alla melodia. La title track, ideale continuazione di “Widower”, nonostante un inarrestabile crescendo, presenta il gruppo imbrigliato in schemi compositivi da canzone radiofonica. Oltre a ciò ci regala Greg Puciato alle prese con una sorprendente prova di falsetto ed è dominata da un ritornello fottutamente catchy.

Tale impressione di disciplinata melodia è confermata da altre canzoni estremamente equilibrate come “Nothing’s Funny”, “Paranoia Shields”, “Magic That Held You Prisoner” o “Crossburner”, laddove i ritornelli si riallacciano alla menzionata tradizione alternativa e post grunge americana – in certi frangenti pare di sentire Dave Grohl e i migliori Foo Fighters. Ma pure le folli scariche furibonde di “Hero Of The Soviet Union” (e basta il titolo) o “Understanding Decay” risultano compatte all’ascolto. Il pianoforte e le tastiere risultano irrimediabilmente relegati in secondo piano. La voce di Puciato induce sempre molto volentieri a concedere sontuose parti di clean, oltre ad indugiare ancora in un paio d’altri falsetti sulla scia dell’ultimo Cedric Bixler-Zavala.

Chissà quale ruolo ha giocato in tal senso la collaborazione con la Sumerian Records, label colpevole di aver prodotto gli Asking Alexandria ma pure meritoria nell’aver puntato i riflettori sui Periphery. Fatto sta che questi elementi producono due effetti immediati. Da un lato sembra che i nostri abbiano trovato una quadratura del cerchio difficilmente pensabile, un po’ come i Solefald di “In Harmonia Universali” o gli Yes dell’omonimo album. Dall’altro si ha l’idea che queste briglie tendano a smorzare l’esplosiva creatività dei nostri. Tuttavia i ripetuti ascolti tendono a premiare la prima impressione: sembra che il gruppo, non più preda di sperimentalismi incontrollati, abbia avuto più tempo più tempo per dedicarsi ad un songwriting che in questa sede, ribadiamo, appare solidissimo.

Insomma, avrete capito che la lunga attesa è stata premiata. Complice l’improvvido break dei The Mars Volta e la proditoria latitanza dei Tool, “One Of Us Is The Killer” conferma Dillinger come nemico pubblico numero uno del panorama metal americano, splendida entità ancora ben lontana dall’aver finito uno sterminato potenziale espressivo.

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