Recensione: Opprobrium

Di Daniele D'Adamo - 17 Luglio 2015 - 23:47
Opprobrium
Band: Destruktor
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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75

Elogio alla brutalità.

Il quale, perché raggiunga i suoi scopi letterari, non occorre sia supportato a tutti i costi dall’esagerazione sonora. Come dimostrano con semplicità e immediatezza gli australiani Destruktor con il loro “Opprobrium”, secondo album di una carriera cominciata nell’ormai lontano 1997. Una carriera che ha avuto degli stop’n’go che comunque non hanno impedito alla band di produrre una discreta discografia: un demo (“The Holy Trinity… Denied!”, 1997), tre split (“Satanic Salvation / Live Desecration”, 2002; “Metal Of Death”, 2007; “A Prophecy Of Nihilism”, 2014), due EP (“Brutal Desecration”, 2002; “Nuclear Storm”, 2004) e, ultimi ma non ultimi, due full-length (“Nailed”, 2009; “Opprobrium”, 2015).   

Se mai ci fosse stato un dubbio in proposito, i Destruktor suonano old school death metal, versione rozza e putrida, basata apparentemente sulla sola forza bruta; senza alcuna concessione ad altro che non sia aggressività, blasfemia, violenza sonora, putrefattume sia artistico sia compositivo. E invece non è così. Seppur basandosi su paradigmi inamovibili nella definizione esatta di come debba essere correttamente interpretata la vecchia scuola, Glenn Destruktor e i suoi due adepti si muovo con sorprendente scioltezza e dinamismo proprio entro quei confini così ristretti che la loro scelta stilistica li ha obbligati a rispettare.   

Si può quindi ben scrivere di una notevole naturalezza, posseduta dal trio di Kangaroo Flat, nello scrivere eccellenti song che filano via lisce come l’olio. I riff volano via in alto che è una bellezza, spinti da un drumming certamente lontano dai canoni prog, ma dannatamente efficace per muovere il tutto con un perfetto quanto semplice e sintetico cinetismo, che varia dai poderosi impulsi dei 4/4 ad alta velocità sino ai blast-beats da follia. Con il rimbombo delle linee del basso di Brad Ollis ben presenti a sostenere la sezione ritmica in una spinta sempre possente ma mai fuorigiri.

A uno stile essenziale, ma ricco di carisma, si accoppiano delle buone canzoni, mai ripetitive anzi ciascuna dotata di una propria, autonoma personalità e riconoscibilità. Basti citare “Besieged”, trainata da un riff che muoverebbe anche una portaerei nel deserto del Sahara e da un Glenn Destruktor che, non potendosi certo portare a esempio quale cantante death, è al contrario ‘maledettamente riuscito’, nel suo ruolo, con una gola che pare essere collegata direttamente con gli inferi. E, a proposito di questi ultimi, con una più che sufficiente capacità, dal parte del dannatissimo trio, di movimentare l’atmosfera insufflandola di zolfo (“Blood Poison”, “Forever The Blood Shall Flow”).

Insomma, con poco, i Destruktor riescono a dare tanto. Merito della loro incrollabile fede nel death metal, nella loro capacità di suonare musica ‘facile’ con maestria e, perché no, di un talento artistico di primo piano.      

Daniele “dani66” D’Adamo

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