Recensione: Opus Aethernum

Di Tiziano Marasco - 13 Marzo 2015 - 0:00
Opus Aethereum
Band: Ethereal
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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50

Ultimamente il black britannico sta vivendo un periodo di grande fermento. C’è poco da fare, Fen, Winterfylleth, Falloch e ovviamente Primordial hanno riportato in auge l’estremo sulle isole dopo un decennio in cui ben poche band erano riuscite ad ottenere un loro spazio. Così dunque, ripassando la lista dei dischi in attesa di recensione per questo infausto sito, l’occhio mi cadde sugli Ethereal. Nome carico di promesse, promesse rinvigorite dal fatto che i nostri sono stati messi sotto contratto dalla Candlelight.

Non male per una band che in dieci anni era riuscita a dare alle stampe due miseri Ep giungere nel rooster di una etichetta di media grandezza e grande reputazione.  E se una band mette insieme un così magro bottino in 10 anni qualche pensiero dovrebbe sorgerti. “Magari è sfiga”, ecco quello che ti dici. E cerchi su youtube se c’è qualcosa per farti un’idea. Ascolti distratto. Gli ascolti distratti, si sa, sono i migliori. Se una band è buona infatti ti distrae dalla distrazione e ti forza ad ascoltare almeno qualche accordo con vivido interesse. Ed effettivamente gli Ethereal ce la fanno. Si sentono belle orchestrazioni, un black metal sinfonico teso e d’ampio respiro. Basta a convincerti e prendi il disco.

Poi il disco lo senti, non ti ricordi che canzone hai sentito, però nell’album nn c’è nulla di simile. O meglio, il black sinfonico è lì, ma è scolastico. Tutto è al posto giusto ma non c’è niente che effettivamente dia una voce alla band, qualcosa che li faccia emergere dal mare nero di minuscoli gruppuscoli senz’anima. Che i nostri abbiano venduto quest’anima a qualche demone o no poco importa, il risultato è desolatamente standard, otto pezzi malefici, energici – sì certo – ma tremendamente uguali: otto pezzi che si succedono senza un barlume disussulto.

Torni su youtube, scopri che la song era Walking Death, la risenti ed in effetti il grigiore si afferma pda ar suo. Sì, c’è poco da fare, gli Ethereal hanno confezionato un disco che a tutti gli effetti è una copia sbiadita degli ultimi Dimmu Borgir – manco dei primi! Si tratta di canzoni fatte bene, con un buon bilanciamento tra corde e tastiere, screaming maligno d’ordinanza e tanta ferocia, ma senza uno straccio di personalità che possa offrire ai nostri la possibilità di uscire dall’anonimato – già arrivare alla Candlelight è una ricompensa eccessiva.

Detto questo dunque, visto che gli Ethereal vengono dalla città dei Beatles – e risultando arduo che ne sueguano le orme – non ci resta che augurare loro di subire una folgorazione al pari di quei loro concittadini che, nati come una grigia ed anonima band death, sono assurti ad Anathema… pardon, ad emblema del metal ibrido ed in costante evoluzione. Il nome adatto ce l’hanno, la folgorazione… beh… non si può mai dire.

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