Recensione: Opus Nocturne

Di Alessandro Calvi - 5 Novembre 2008 - 0:00
Opus Nocturne
Band: Marduk
Etichetta:
Genere:
Anno: 1994
Nazione:
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78

“Opus Nocturne” è un disco ben conosciuto dai fan dei Marduk e da molti di loro è considerato anche un capolavoro. La fama, per il gruppo svedese, è però arrivata solo in seguito, quando alla band si è unito un certo Legion dietro al microfono. Prima di allora il combo capitanato da B War aveva già piazzato alcuni album di un certo interesse, anche se un po’ diversi da quelli che li avrebbero seguiti. Prima che la ricerca di violenza e velocità sfrenata definisse il sound che portò al disco più conosciuto della band svedese, cioè “Panzer Division Marduk”, il gruppo era autore di un black più convenzionale anche se per nulla derivativo. “Opus Nocturne” è il manifesto di quel periodo.

Ad aprire le danze troviamo “The Appearance of Spirits of Darkness” titolo lunghissimo e pomposo per quella che in realtà si rivela essere una intro strumentale a base di passaggi d’organo. Piuttosto d’atmosfera, ma nulla di che rispetto al proseguo, soprattutto non lascia presagire nulla, con i suoi ritmi lenti e le atmosfere decadenti, della violenza che sta per manifestarsi.
Con la seconda “Sulphur Souls” infatti si presentano dei Marduk molto più simili a quelli che siamo abituati a sentire. Quelli autori di un black metal fatto di chitarre al vetriolo e batteria perennemente in doppia cassa. L’inizio è dei migliori, Af Gravf alla voce non fa rimpiangere l’assenza di Legion e tutti gli strumenti fanno un lavoro egregio. Qui e là alcune accelerazioni lasciano intuire in quale direzione si muoverà in futuro la band, ma per il momento ci son molti più cambi di tempo, molti più passaggi lenti e quasi d’atmosfera a spezzare il ritmo.
Una delle critiche che più ho sentito rivolgere ai Marduk nel corso degli anni è di esser noiosi. Autori di grandi brani presi singolarmente, “Panzer Division Marduk” quasi unanimemente considerato un capolavoro assoluto. Ma un capolavoro da assumere a piccole dosi. Due, tre canzoni al massimo e poi le tracce cominciano a sembrare ai più leggermente ripetitive. Troppa violenza tutta insieme, nessuno stacco. Il risultato è che il sound si trasforma in un muro sonoro che comincia a perdere di significato e di presa sul pubblico diventando niente altro che un sottofondo.
Niente di tutto questo accade invece in “Opus Nocturne”. Difficile infatti trovare nella discografia di B War e soci un album altrettanto equilibrato, condito di passaggi lenti, sulfurei, catacombali e vere e proprie aggressioni sonore, velocissime, brutali, shockanti per l’ascoltatore più sprovveduto.
Inutile continuare a parlare, le canzoni si esprimono benissimo da sole. Basta ascoltare brani come “Materialized in Stone” per rendersi conto di cosa erano in grado di sfornare i Marduk allora. Una traccia di rara bellezza, capace di comunicare tutto il gelo e la malvagità di questo genere come poche altre. Decisamente lenta rispetto a quello che ci si sarebbe potuti aspettare, con chitarre avvolgenti in grado di creare melodie ipnotiche e d’atmosfera, risulta uno dei capitoli migliori non solo del disco, ma di tutta la discografia del gruppo.
Si fa notare anche la successiva “Untrodden Paths (Wolves Part. II)” seguito di quella “Volves” che aveva fatto capolino sul precedente “Those of the Unlight”. Stavolta si torna a pigiare sull’acceleratore e tocca ad Af Gravf regalare quella che è forse la sua migliore interpretazione. Maligno, disperato, con una voce al vetriolo che regala più di un brivido, decisamente non fa rimpiangere l’assenza dei suoi successivi sostituti.
La titletrack è il brano che non ti aspetti. Almeno non dai Marduk. La batteria crea un sottofondo di doppia cassa in realtà molto veloce, ma chitarre e basso intessono melodie lente ed evocative. Sopra a tutti la voce si limita a recitare il testo come una sorta di preghiera.
Il disco si avvia alla sua naturale conclusione e, dopo “Deme Quaden Thyrane” che tira un po’ le fila dell’album, ripresentando alcuni di quegli elementi che han reso così varia e ricca la tracklist, dai cambi di tempo alle parti recitate, dalle sfuriate ai momenti lenti d’atmosfera, tocca a “The Sun has Failed”. I Marduk sembran decisi a sferrare l’ennesimo, definitivo, pugno in faccia all’ascoltatore con questa ultima traccia. E ci riescono anche, con una canzone violenta, ma anche melodica ed elegante che cattura l’attenzione fino a che, dopo quasi cinque minuti, la musica sfuma fino a spegnersi. Al suo posto solo i suoni campionati di un temporale: pioggia, vento, lampi e tuoni in lontananza. Poi più nulla.

Prima di prendere una strada che li conducesse verso un black velocissimo, verso una parossistica ricerca di rapidità e violenza che li ha portati a realizzare alcuni dei loro capolavori, i Marduk erano un gruppo diverso. Più legati alle origini, autori di un black metal più canonico, sfornarono “Opus Nocturne”, un album che fece grande impressione sulla scena, non solo svedese, di allora. Per coloro i quali mal digeriscono il corso che la band ha preso negli anni successivi, questo disco potrebbe essere una straordinaria sorpresa.

Tracklist:
01 The Apperance of Spirits of Darkness
02 Sulphur Souls
03 From Subterranean Throne Profound
04 Autumnal Reaper
05 Materialized in Stone
06 Untrodden Paths (Wolves Part. II)
07 Opus Nocturne
08 Deme Quaden Thyrane
09 The Sun Has Failed

Alex “Engash-Krul” Calvi

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