Recensione: Ordeal

Di Stefano Santamaria - 17 Novembre 2017 - 0:00
Ordeal
Band: Sator
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2017
Nazione:
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78

Immagini tremule si materializzano di fronte ai nostri occhi, viaggio dell’anima che si ferma, con violenza, di fronte ad un muro fatto di sonorità doom. Queste, in poche righe, le sensazioni che nascono all’ascolto dell’ultimo lavoro in studio dei nostrani Sator, progetto attivo dal 2013 e con alle spalle un full-length ed un singolo. 

Ordeal” è la loro ultima fatica discografica, un sound che pesca a piene mani dal passato di Black Sabbath e Pentagram, ma che si mescola allo sludge degli Yob, alla psichedelia rock degli Amon Duul II e allo sperimentalismo dei Neurosis

Tracce ipnotiche, la cui sostanza si permea delle cadenze tipiche del doom, strutture assai dilatate che si vestono di colori caleidoscopici ed oppiacei. Il comparto vocale alterna voci slabbrate e di chiara matrice core a vere e proprie narrazioni di fondo, episodi sporadici che però donano una certa solennità a tutto il lavoro. C’è una sorta di ridondanza nei pezzi, melodie che si susseguono ciclicamente e che diventano familiari dopo pochi ascolti, alleggerendo il disco. Questo accade perché gli artisti non si fissano a voler stravolgere o sperimentare il genere, bensì mantengono una certa familiarità dei suoni, cercando però una freschezza data da effetti e soluzioni personali. 

In più punti pare i brani stiano per terminare,  per poi ripartire e stupire con sviluppi inaspettati. Un esempio concreto di ciò è ‘Ordeal’, che a metà circa pare flettersi a termine ed invece riprende vigore lentamente, icona di un “crescendo” sempre presente e che in ‘Soulride’ trova il proprio apice, con vistosi richiami allo stoner più desertico e stralunato.

Dissennati ci muoviamo in un paesaggio in cui lo squilibrio non ci permette di restar in piedi, sensi capovolti e stravolti in una spirale di vetusta psichedelia. Materia primordiale e più moderne citazioni sludge si incastonano in questo ideale quadro fatto di passato e presente, in cui i Sator riescono con maestria a trovare un punto di congiunzione. Complimenti agli artisti, progetto made in Italy di grande impatto, qualità e personalità da cui ci aspettiamo ancora molto, soprattutto sul piano delle idee. Unico neo: c’è ancora un non so che di acerbo nella proposta, come se qualcosa resti a livello di bozza senza aggiungere quel necessario passo in avanti. Complimenti comunque ragazzi.

 

Stefano “Thiess” Santamaria

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