Recensione: Our Sky has Changed

Di Andrea Poletti - 19 Dicembre 2016 - 7:10
Our Sky Has Changed
Etichetta:
Genere: Vario 
Anno: 2016
Nazione:
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75

L’Italia è cambiata negli ultimi anni, le persone sono cambiate così i modi di concepire il mondo e le normali vicissitudini quotidiane; sopra ognuno di questi fattori non bisogna dimenticarsi che a ciò che sovrasta tutto, il cielo, è cambiato come tutti gli altri. Non v’è più la stessa percezione del passato ed il mondo è più piccolo, le distanze sono infinitesimali e noi ci troviamo schiacciati in mezzo ai media e a relazioni che non riusciamo nemmeno a comprendere. Abbiamo così tanta paura del prossimo che interagiamo solamente attraverso una tastiera per la mancanza di volontà e carattere; il cielo è cambiato, il mondo è distante dai tempi antichi e così la musica. I Dawn of Sedna da Viareggio, cercano di ricordarcelo attraverso un disco che come in dicitura è in parte di un genere quantificabile come vario, vista la enorme complessità delle musiche proposte. Prendete i Sumac moderni, dunque gli ex Isis, uniteci alcuni lati dei Cult of Luna più primordiali, tangenziali similitudini con i nostrani Nero di marte ed il gioco è fatto: semplice e sublime post-metal dalle tinte lugubri e oscure che mostrano il lato più oscuro dell’intimità musicale del gruppo. Questa è una band che trasforma il malessere in musica, fatta da persone normali con i propri sentimenti e sofferenze che parla dell’essere umano quotidiano, gente che esprime il suo modus vivendi e la rabbia che ne esce siceramente, spontaneamente e sopra ogni aspettativa, un disco che definire bello è quanto meno riduttivo. Primo capitolo della loro storia ventura, primo centro, primo tassello di quella che è considerabile come la vera musica Italiana, ragazzi serve poco a volte per creare la “grande bellezza” e i Dawn of Sedna, grazie a questo “Our Sky Has Changed” sono in grado di ricordarci come noi, quale popolo Italico, non siamo e possiamo essere famosi solamente per la moda, l’architettura, il cibo e l’ingegneria: siamo molto, molto di più se esplorati e scoperti.

Un album complesso, mastodontico nella sua superficiale melanconia che cattura sin dal primo ascolto attraverso tempistiche dilatate, spazi vuoti e ritmiche tribali mentre tu fai parte di un grande caleidoscopio fluorescente entro cui solo il nero nelle sue sfumature prende vita. Non v’è reperibilità di luce e di vita, nn v’è presenza di microscopiche deviazioni verso la speranza e tutto ciò che ti trovi in mano è un semplice ed inafferrabile vuoto che ti avvolge dall’inizio alla fine. Growl, clean e due chitarre che combattono in un fraseggio di melodico e distorto che incutono timore ad ogni minuto. La delicatezza ci certi passaggi all’interno di canzoni quali ‘The Rest’, ‘Adlivun Riuns‘ e ‘Five Degrees On The Sky Line’ si contrappone alle spericolate deviazioni post-metal, post-qualsiasi cosa volete che affondano entro un mare neo e bramoso della vostra vita sino al risucchio di ogni forma di vita. Prendiamo composizioni quale l’iniziale ‘Amniotic Sea’ e il growl cavernoso che si connette all’antimateria più primordiale di ‘Descending Path’ con delle spirali all’infinito verso un precipizio che osanna l’esplosione dei sensi interiori. Indescrivibile ad ogni modo e giornalisticamente distante dalle classiche frasi fatte bisogna viverlo e completo questo “Our Sky Has Changed” attraverso ripetuti ascolti che ad ogni nuovo play. Solo così queste canzoni portano un gradino più in basso verso l’inferno in terra. I maestri sarebbero orgogliosi di questi studenti che hanno appreso dai grandi per andare verso una prospettiva singolare ed inaspettata, questa band  è la sintesi del classico modo di dire “farne tesoro”.

Probabilmente la non-recensione è la cosa migliore da effettuare e andare contro i classici stereotipi del finto comunicatore è l’arma vincente per far comprendere come il post-metal, ad oggi, significa tutto e nulla, ma molto più semplice è la libertà di esprimersi attraverso le proprie emotività più primordiali. I Dawn of Sedna sono bravi, intelligenti e riesco nell’arduo compito di farti venire voglia di ascoltare e barcollare entro quel vento che fuori dalla finestra soffia gelando gli alberi e il cielo, sempre più nero muta disordinato e trasversale. Questa è musica non-musica creata dall’Italia per gli Italiani che svalica le barriere e rigenera l’indefinito; un primo capito splendido dove la melanconia del passaggi più ritualistici si contrappone alla violenza primordiale interna ad ogni essere umano. Questa è musica di classe, provare per credere.

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