Recensione: Out Of The Abyss

Di The Dark Alcatraz - 31 Luglio 2004 - 0:00
Out Of The Abyss
Band: Manilla Road
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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77

“C’erano un sacco di band che suonavano Thrash Metal, dalle nostre parti!”.

Fu così che all’ epoca Mark Shelton decise di impostare, il modo ironico, la sua arringa difensiva, nei confronti dei critici europei che in quel periodo lo stavano tartassando a causa dell’ uscita dell’ ultima release del suo Trio, “Out Of The Abyss”.

Chiamati a dover riconfermare i magnificenti fasti dei precedenti 4 anni ed in special modo, quanto di buono ( tantissimo, invero ) proposto con il precedente studio album: “Mystification” e con il loro primo, grande live, edito ai tempi su etichetta “Black Dragon”, con nome di “Roadkill”, i Manilla Road danno alla luce questa ultima loro creatura.

La critica maggiore che i detrattori dei Manilla Road mossero ai Nostri, fu quella di aver proposto un disco, ancora una volta di un certo spessore artistico per quanto riguarda il concept, ma con delle sonorità molto più vicine, secondo loro, al Thrash Metal. Ed ecco allora giustificata l’affermazione che Mark, ovviamente buttandola sullo scherzo, aveva utilizzato per scacciare le critica.

Possiamo da soli ben immaginare come tutto ciò non possa essere altro che uno scherzo e niente più, poiché pare molto difficile come una band del calibro dei Manilla Road e soprattutto un uomo del carisma e della cultura di Mark Shelton ( che, lo ricordiamo, possiede una laurea in antropologia ), possa lasciarsi in qualche modo influenzare da ciò che lo circonda, tanto da sconvolgere il suo pensiero musicale.

Questo non sta per nulla a significare che i Manilla Road non avessero stretto alcun tipo di amicizia con altre band del panorama Metal, specie quello US, anzi. Ricordiamo come, ad esempio sfogliando il booklet di “Open The Gates”, in cima ai credits che la band volle rivolgere a coloro che contribuirono, in un modo o nell’altro, alla realizzazione di uno dei suoi più grandi capolavori, figurino i nomi di James Hetfield e Cliff Burton dei Metallica o di Ted Nugent.

Tutti artisti che sono ovviamente sulla bocca di tutti e che non hanno certo bisogno della mia presentazione.

Come per tutte le cose però, un fondo di verità, fra le critiche rivolte alla band, di sicuro c’era.

Ascoltando infatti il precedente lavoro in studio e questo “Out Of The Abyss”, non si può non notare come i Manilla Road abbiano in ogni caso proposto qualcosa di diverso in termini di sound.

Questo non significa nella maniera più assoluta però, che il risultato sia scadente o banale. Come tutti i lavori in cui ci sia di mezzo lo zampino di Mark W. Shelton infatti, tutto viene curato nei minimi particolari, a partire dall’ artwork, ancora una volta segno contraddistintivo degli album targati Manilla Road. Molto suggestivo ad esempio, il leggìo che, tagliato a metà da un pugnale, lascia sgorgare rivoli di sangue su tutta la sua superificie, come se fosse fatto di carne.

A livello sonoro invece, la qualità, sebbene non riesca a toccare i picchi di perfezione raggiunti con “Mystification”, ad esempio, rimane sempre più che buona. Salta fuori, in ogni caso, un lavoro in cui spicca un metallo grezzo e potente, con ritmiche velocissime ed assoli di batteria in primo piano, tanto per esaltare le rinomate doti di Foxe. Anche lo stesso Shelton, alla chitarra, si concede a riffs taglienti come una mannaia nel burro ed a un cantato più aggressivo ed acuto, come nel tipico stile sheltoniano, mai urlato.

Senza divagare più del dovuto, ritorniamo a bomba sull’ argomento principale di questa recensione: il disco.

Uscito nel 1988 sia in LP sia in CD, questo “Out Of The Abyss”, rappresenta per certi versi, come abbiamo detto, uno dei punti di svolta della carriera della band statunitense.

Ora, definire il sound che viene proposto ai nostri padiglioni auricolari qualora inserissimo il cd nel lettore, come Thrash Metal, mi pare davvero un azzardo. Certamente però, qualcosa è cambiato, e ce ne accorgiamo fin da subito con la prima traccia del platter, la devastante “Whitechapel”. Anche sotto il punto di vista delle liriche, Shelton non si smentisce, dedicando l’intero pezzo al libro “Jack The Knife: Tales Of Jack The Ripper”( 1975 ), ad opera di Michael Parry. Il testo è un concentrato di violenza e brutalità, ricalcando in pieno la tradizione dell’ horror stile anni 70, ed in particolare del libro in questione. Molto significativo, ad esempio questo passo che, sono sicuro, gli amanti del thrilling ameranno sicuramente:

The hunt is on
I’ll R.I.P. them all
Sweet carrion

Ripper

Whitechapel’s lights
Gleam off my knife
It’s time to die
Ripper

Il tutto trova una giusta continuazione anche nella seconda traccia dell’ album: “Rites Of Blood”, anch’ essa caratterizzata da liriche pregne di un’ intensa brutalità, come messo in evidenza dal titolo stesso, che ritorna in italiano come: “Riti di Sangue”. Il raccapricciante titolo viene poi suggellato da delle atmosfere ottenebrate e maligne, che uniscono però al geniale estro Heavy Metal dei precedenti Manilla Road, con la velocità e la cattiveria di questi “strani” Manilla Road di “Out Of The Abyss”.

Altro pezzo violentissimo è senza dubbio la title track, alla posizione numero tre della tracklist. Si apre con tale decisione da far realmente esordire la band in puro stile US Thrash. Il pezzo andrà però, pian piano, acquistando una sua metrica, una volta entrata in gioco la voce di Mark, che farà percorrere un brivido, lungo la spina dorsale dell’ ascoltatore, intonando “Out Of The Abyss” in maniera così cruenta da ispirare nella mente pensieri nefasti ed incubi di ogni genere.

Un flashback alle origini, almeno in parte, si ha con “Return of The Old Ones”, canzone che più di ogni altra in questo disco, rispecchia la profonda radice epic metal della band guidata da Mark Shelton. Anche il sound è qui più “tranquillo” e ragionato, il refrain rimanda molto a sapori di Delugiana memoria, conditi con un testo veramente mozzafiato, ancora una volta pregno di misticismo ed esoterismo, temi da sempre al centro dell’ attenzione dell’ autore unico dei testi dei pezzi dei Manilla Road: Mark Shelton. Agghiacciante poi il finale, in un calando così angoscio da essere impossibile da descrivere a parole.

Un pezzo che mi ha molto ricordato la pulizia e le ricercatezze di lavori come “Crystal Logic” è senza dubbio “War In Heaven”, in cui i riffs diventano, ma solo per un attimo, meno taglienti e veloci, lasciando spazio ad una più complessa struttura del brano e del refrain in particolare. Metallo Pesante allo stato puro, in ogni caso.

“Out Of The Abyss” si chiude poi “Helicon” una vera e propria ode alle Muse, che si eleva alta nel cielo del regno del Dio Apollo, rappresentato per l’occasione dai Manilla Road come il luogo dove trovano posto foreste incantate e dove i sortilegi non sono frutto di storielle che i nonni raccontano ai loro nipotini, prima di metterli a dormire, ma palpabili realtà. Bellissimo anche il riff col quale Shelton chiude il pezzo e quindi anche il disco, molto complesso e spettacolare nella sua composizione, accompagnato a dovere dal basso del fedelissimo Scott Park.

“Out Of The Abyss” non è in ogni caso uno dei capolavori immortali dei Manilla Road; è un disco difficilissimo da metabolizzare e da capire. Il trucco è però tutto lì: riuscire a comprendere la profonda interiorità che Shelton ha voluto conferire a questo disco a prima vista molto semplice, ma che presenta degli scogli superabili solo dai veri amanti del genere e della band in particolare. L’ aver ascoltato questo disco comunque, rappresenta un’ esperienza che mi pare veramente un peccato perdersi. Non dico che sia indispensabile averlo, ma stiamo parlando sempre di un lavoro che porta il nome dei Re dell’ Epic Metal…

LINE UP:

Randy “Thrasher” Foxe – Drums

Scott Park – Bass Guitars

Mark W. Shelton – Lead Vocals & Lead Guitars

TRACKLIST

1. Whitechapel
2. Rites of Blood
3. Out Of The Abyss
4. Return Of The Old Ones
5. Black Cauldron
6. Midnight Meat Train
7. War In Heaven
8. Slaughterhouse
9. Helicon

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