Recensione: Out Through The In Door

Di Mauro Gelsomini - 22 Maggio 2007 - 0:00
Out Through The In Door
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Anno: 2007
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83

A quarant’anni di distanza dal debutto di questa incredibile band, in molti continuano a chiedersi spiegazioni riguardo alle anomalie della carriera, riflettute quasi automaticamente nel sound che Mark Stein, Carmine Appice, Tim Bogert e Vince Martell contribuirono a creare.
Il quartetto americano, infatti, dopo un bruciante inizio fatto di sei album in poco più di tre anni, compartecipando (insieme a Led Zeppelin e Black Sabbath tra gli altri) alla nascita del nostro amato genere, tornò a incidere solo nel 1976, per poi scomparire per altri 8 anni, fino al 1984, quando usciva “Mistery”. Altri diciotto anni di silenzio e il “Returns” del 2002 apriva un nuovo ciclo, seguito da “Then And Now”, del 2004.

In realtà i Vanilla Fudge degli inizi erano un’altra band, se confrontati con quelli dei vari come back. Il culto si era definito con i primi album (il primo omonimo, per chi scrive), la cui originalità stava nel fondere elementi di psichedelia con l’embrione dell’heavy, molto oscuro, co-esplorato all’epoca solo da alcuni act inglesi.

Ad oggi risulta ancora più grottesco il fatto che il nuovo studio album della band sia in realtà una raccolta di cover di uni di quegli act, i Led Zeppelin!
Sulla scelta dei brani si potrebbe parlare a lungo, molti infatti lamenteranno la mancanza di highlight quali “Stairway To Heaven”, “Black Dog”, “Communication Breakdown”, “Kashmir”, “Whole Lotta Love”, “The Song Remains The Same” e chissà quante altre, ma trattandosi di una band che vanta almeno un centinaio di classici, la tracklist di un solo CD offrirà eternamente motivi di discussione.

Passato lo stupore iniziale, dunque, come se ci trovassimo davanti ad un album di cover dei Judas Priest inciso dagli Iron Miaden, resta solo il godersi le riletture in Fudge-style di questo “Out Through The In Door”, in primis riconoscibili per via della timbrica di Mark Stein, delicata, raffinata, decisamente in contrasto con quella instabile e oscillante di Robert Plant. Ovunque, poi, permea la psichedelia dei Vanilla, con synth sparsi qua e là dove meno li si aspetti, senza dare in nessun frangente quell’impressione di magniloquenza che peraltro i Vanilla Fudge non ebbero mai, restando sempre vicini ad una minimalità sonora, che forse rappresenta il geniale contrasto con la ricchezza e la raffinatezza negli arrangiamenti.
Anche la sperimentazione è presente in dosi massicce, con cori gospel/blues ricorrenti, in “Ramble On”, “Your Time Is Gonna Come”, ma soprattutto in “Fool In The Rain”, esplosiva per quanto riguarda le voci, e candidata alla palma di miglior brano.
Concorrono allo stesso titolo “Dazed And COnfused”, impreziosita da un’intro synth che farà discutere, e “Immigrant Song”, azzecatissima nel ruolo di opener.
Rilette in chiave progressiva anche le strumentali “Black Mountain Side” e “Moby Dick” (quest’ultima con un Carmine Appice eccezionale), mentre l’Hammond di Stein invade pacificamente “All My Love” e “Rock And Roll”.

In definitiva, uno dei migliori cover album che abbia mai ascoltato, sebbene io non sia un amanto di questo tipo di uscite. Strano, bizzarro, se si pensa al nome della band e al suo passato, ma difficilmente un nome meno altisonante sarebbe riuscito in una simile impresa.

Tracklist:

1. Your Time Is Gonna Come
2. Immigrant Song
3. Ramble On
4. Trampled Under Foot
5. Dazed And Confused
6. Black Mountain Side
7. Fool In The Rain
8. Babe I’m Gonna Leave You
9. Dancing Days
10.Moby Dick
11.All My Love
12.Rock And Roll

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