Recensione: Ozymandias

Di Giuseppe Casafina - 19 Maggio 2018 - 11:48
Ozymandias
Etichetta:
Genere: Grindcore 
Anno: 2018
Nazione:
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80

Sono in quattro e vengono da Eboli…esatto, non sbagliate: sono i Power Rangers!

No, aspetta un attimo…i Power Cosi erano cinque e pure che fosse non venivano certo dalla Campania e…già, non suonavano nemmeno Grindcore!

I One Day In Fukushima, quindi non i Power Ranger, sono davvero in quattro e vengono sul serio da Eboli, in provincia di Salerno (Campania) e…sì, suonano anche Grindcore. I One Day In Fukushima sono uno di quei progetti che forse è partito come tante altre storie, quasi per caso, un po’ per passione un po’ per gioco, con lo scopo di suonare un genere caro in comune a tutti coloro che decisero di prender parte al progetto…perché scrivo questo? Perché lo si percepisce chiaramente da quel che ci vien concesso di ascoltare, e ciò lo si percepiva sin dal primo vagito “Demo 2015” (qui la recensione), mentre oggi tale sensazione viene amplificata in maniera esponenziale, quasi moltiplicata per infinito.

Ho sempre ammirato questa formazione, non lo nascondo, ma in effetti mi son sempre chiesto se tale mia simpatia provenisse da un effettivo amore per la loro proposta musicale o per la simpatia che mi ispiravano alcuni dei loro componenti…però oggi, sin dal primo ascolto di “Ozymandias”, ho capito che effettivamente è la loro proposta musicale a vincere su tutto, nonostante l’indubbia simpatia che i componenti stessi della formazione mi ispirano. Citare quest’ultimo aspetto non è da meno, in quanto ho sempre considerato la musica suonata come riflesso della propria personalità e, i One Day (così vengono chiamati nel giro Grind/Punk/Hardcore), sono davvero un esempio potentissimo di come la musica sia al 100% frutto dello spirito, qui iracondo e schizzato ma allo stesso tempo ironico senza rinunciare ad essere serioso, di chi ha composto il tutto.

“Ozymandias” è il disco dell’anno in ambito Grindcore sul territorio italiano.

Vi sembro troppo esagerato? Vi sembra una cosa affrettata?

Bene, non mi pare il luogo adatto per descrivervi la storia della mia vita e nemmeno vi interessa immagino, però sappiate che ascolto musica ininterrottamente da quando avevo 3 anni (mio padre faceva suonare i vinili nel soggiorno e io…ehm ballavo…la mia prima fonte di sfogo extra-musicale prima di scoprire il pogo) e di anni ne ho quasi 33, quindi son quasi 30 anni di ascolto musicale initerrotto di cui ben 25 (alla tenera età di otto anni insistetti con mio padre per farmi acquistare “Ride the Lightning” spinto dalla bella copertina) di sonorità Punk e Hard & Heavy, senza non considerare che questo disco l’ho ascoltato quasi di fila per due mesi ancor prima della sua uscita ufficiale: le mie sensazioni iniziali eran ben definite, ero consapevole delle stesse, ma ho deciso di aspettare un po’ e vedere se la cosa durava oppure era effettivamente solo un abbaglio da primi ascolti.

Eccomi quindi giunto al verdetto finale: sì, “Ozymandias” è davvero il disco dell’anno in ambito Grindcore in terra tricolore per quanto mi riguarda, e più lo ascolto, più sono sicuro di quel affermo. Molti sono i brani già presenti del già citato “Demo 2015” ma qui risultan potenziati, ulteriormente affilati nelle proprie lame grazie ad una produzione annichilente (che ricorda a più ripèrese, senza esagerare, il sound in studio degli ultimi Napalm Death e Misery Index) che devasta ogni secondo di ascolto a cui la nostra materia grigia decide di concedere anche una sola parizale attenzione. Il disco è breve, brevissimo, ma stiamo parlando di Grindcore quindi la cosa della durata non mi tange: se a voi tange, allora forse avrete sbagliato genere oppure è proprio questo disco che non fa per voi. Ma riguardo quest’ultima ipotesi, ve lo giuro, non ci voglio credere, perché i 34 secondi iniziali di ‘Bhopal Inc.‘, ad esempio, sono la perfezione del grindcore, una scarica assurda di adrenalina in grado di far smuovere il capoccione anche alle statue di marmo massiccio…come queste possano farcela è un mistero, nel caso chiedete a loro, sempre che vi rispondano.

Il songwriting è veramente tirato all’estremo nella sua essenzialità grind e potenziato al massimo nelle sue singole parti per un risultato finale schizofrenico ed allo stesso tempo ragionato, senza che mai il secondo aspetto prevalga sul primo: la musica dei quattro grindsters di Eboli è figlia dell’istinto primordiale, quattro persone che meriterebbero davvero di vedere la propria rabbia e frustrazione espresse al meglio, al contrario di tanti altri grindsters figli del benessere che, in sede di registrazioni, indossano come da tradizione la loro maschera da frustrati…ma la tua musica non mente e, se è falsa come la maschera che indossi, allora non hai scampo.

I One Day In Fukushima maschere non ne indossano, e ne sono testimoni anche gli illustri ospiti chiamati a campaggiare tra le lande nichiliste del disco, tra cui Armin dei Distaste (oltre che membro degli Afgrund), Campiños dei Convulsions Grindcore, Mariano degli Ape Unit (ex-Septycal Gorge) ed Angelo Vernati & Guru Renato dei Neid: la credibilità underground, si sa, non si costruisce sulla base di quel che vuoi sembrare, ma di quel che sei veramente.

E i One Day ci sono, non ci fanno. Solo che non sono scemi. E il loro sempre più ampio pubblico di seguaci lo ha capito.

Se credete che questa mia recensione sia solo un inutile fiume di parole che non parla affatto del disco, provate ad ascoltarlo chiudendo gli occhi e riaprendoli solo alla fine: sono certo che il 90% di voi alla fine mi darà pienamente ragione.

Giuseppe “House” Casafina

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80