Recensione: Paradise Gallows

Di Andrea Poletti - 8 Ottobre 2016 - 2:27
Paradise Gallows

Mescolare vari generi non è più una novità oggi, far confluire balck nel death doom nello stoner o thrash nello sludge, giusto per fare esempi random, è un qualcosa che nel bene o nel male tutti riescono a fare. La differenza sostanziale sta nel riuscire a rimanere credibili e personali, far confluire tutta la dose di idee che nascondo nel processo di scrittura rimanendo fedeli al proprio io. Gli Inter Arma posso essere dunque considerati riconoscibili e personali in base a tale ragionamento, una band che prende le proprie radici dalla scena sludge per infilare black, doom ed alternative senza deturpare l’istinto che rende tutto unico e inconfondibile. Certamente essere figli di un album quale “Sky Burial” che aveva smosso gli animi degli appassionati, tralasciando l’ottimo esperimento “The Cavern”, i nostri oggi si trovano di fronte a quella sfida che prima o poi ogni gruppo ha di fronte: riuscire a rinnovarsi e/o migliorarsi senza plagiarsi o autocitarsi. “Paradise Gallows” è il fatidico terzo album ufficiale che rimescola le carte in tavola bene o male, riuscendo nell’epica impresa di forgiare l’oltre nel suono di una band qualsiasi di un paese qualsiasi in mezzo a un mare di uscite che quotidianamente ci invadono come spettri abissali; settantadue minuti di feroce intolleranza che nascondo dal profondo, perché quest’album che piaccia o meno è sincero, spontaneo e nasce dalla frustrazione dell’uomo medio.

Come oramai ognuno ha compreso gli Inter Arma non hanno dalla loro il dono della sintesi, basta dare un occhio ad ogni loro canzone composta, per notare come il minutaggio considerevole favorisca l’inserimento di molteplici sfumature e stratificazioni sonore che amplificano la sensazione di oblio musicale. Un vortice verso il male più cupo e sinitro senza via di scampo. Ciò che dunque è più riscontrabile rispetto al passato in questa nuova incarnazione del gruppo è dinamicità del complessivo, ogni brano mantiene una sua caratterizzazione specifica che la distingue dalle altre, è come se la band abbiamo attraversato talmente tanti stati d’animo durante la registrazione e composizione che ognuno di questi emerge spavaldo e gagliardo ad ogni angolo. Basta ascoltare il trittico iniziale formato dalla suggestiva ‘An Archer In The Emptiness’, la mastodontica ‘Transfiguration’ e l’abissale ‘Primordial Wound’ (quest’ultima probabilmente manifesto definitivo degli Inter Arma moderni) per calarsi tra le spire del Kraken senza farne ritorno. Tecnicamente complesso, primordiali sfumature di nero che si allineano per destrutturare il classico concetto di sludge, infarcito di una dose di male interiore che vive come mai prima d’ora. Le strutture che galleggiano su un blackened stoner rimescolano le carte in tavola ad ogni passaggio; lasciato alle spalle il trittico iniziale infatti ci si trova d’innanzi ad una ‘The Summer Drones’ che per quanto ben congegnata risulta leggermente decontestualizzato dal complessivo. Neurosis, Swans, tangenzialmente i Sunn O))) e i Pink Floyd nella strumentale ‘Potomac’ riescono quanto meno a rendere l’ascolto piacevole e struggente al tempo stesso, prendendo dai maestri e rielaborando con caratteree e grinta. Gli Inter Arma oggi sono maturati, cresciuti sul lungo raggio combinano sfumature ed ideali attraverso un viaggio caleidoscopico fatto di cenere e insofferenza. Altre menzioni verso ottime realizzazioni come la ‘Titletrack’ e i suoi ritmi tribali, una sorta di velo di maya che nasconde la realtà dei fatti; la speranza si allontana e il fiato si appesantisce per raccontare la tempesta interiore. “Paradise Gallows” saluta l’ascoltatore con la conclusiva ‘Where The Earth Meets The Sky’ realizzata con clean vocals che ondeggiano sul un mare acustico, tanto evocativo quanto maligno; la traccia finale che spiazza e disturba in completa antitesi con i minuti appena trascorsi.

A livello tecnico stilistico poco v’è da aggiungere a un gruppo che riesce per l’ennesima volta a non essere volontariamente perfetto, creando una combustione tra passato e presente che in pochi riescono a trovare. Rimanere fedeli alle proprie radici, come detto, andando “oltre” e nel contempo essere in grando di svolgere quel salto nel precipizio che conferma quanto la creatività, se insita nel profondo, non smetterà mai di rinascere.

Paradise Gallows” non sarà il disco dell’anno ma funziona alla perfezione e si ascolta più e più volte senza mai stancare; personalmente dopo oltre due mesi di ascolti non ho trovato un solo calo sulla lunga distanza, confermando come questo gruppo riesce a invogliare volta dopo volta. Una scelta obbligatoria per ogni amante dello sludge moderno, contaminato e con un pizzico di personalità che lascia identificare gli Inter Arma dai soliti cliché. Il paradiso è il nuovo inferno e le forche sono la soluzione ai mali interiori. Buona navigazione.