Recensione: Perdition Insanabilis

Di Matteo Bovio - 24 Dicembre 2004 - 0:00
Perdition Insanabilis
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Anno: 2004
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78

Hell Injection fu il loro primo concreto biglietto da visita: perversione pura, pazzia e violenza incontrollata. Filth Catalyst fu un passo avanti, col quale inquadrarono meglio il proprio stile senza perdere nulla in impatto. Viene da sè che Perdition Insanabilis avrebbe generato una catena di aspettative, che coinvolgevano i fan così come chi li conosceva solo di fama. Appartengo al primo gruppo, e devo ammettere che ho atteso l’uscita di questo nuovo album con non poca impazienza: con quella paura generata automaticamente da delle aspettative alte, forse troppo pretenziose. E ora che ho potuto dedicare lunghi ascolti alla nuova creatura degli Arkhon Infaustus posso dirmi soddisfatto: è difficile dissimulare la parziale delusione di non aver constatato l’ennesima escalation di qualità, ma aver tra le mani un album così buono è tuttavia bastato a placare la classica ansia da fan.

Da quanto detto posso partire per una considerazione di apertura sommaria: dei tre capitoli firmati sin’ora dal gruppo (parlando dei full-lenght), l’ultimo è probabilmente il meno appassionante. Più maturo dell’esordio, perde rispetto a quest’ultimo gran parte della carica e non riesce a shockare in maniera nemmeno lontanamente simile; se lo paragoniamo invece al più recente, possiamo inquadrarlo come una sorta di progressione in termini di song-writing. Ma una progressione i cui termini di paragone sono essenzialmente formali.

Chi ancora non li conosce ha evitentemente bisogno di riferimenti più precisi, anche se descrivere a parole il suono degli Arkhon Infaustus è piuttosto difficile. A inizio carriera vennero spesso paragonati ai Bestial Warlust, anche se bloccherei il confronto a quel che riguarda l’attitudine. Le composizioni erano piuttosto un Black Metal molto furioso e istintivo, con evidenti contaminazioni Death. In seguito queste ultime sono aumentate, andando quasi a rovesciare il discorso: oggi parlerei di Death Metal con palesi rimandi Black. Questi rimandi sono spesso di natura tecnica e compositiva, ma più in generale è utile considerarli sotto un altro aspetto: la genialità di questo gruppo è infatti l’aver saputo coniugare la violenza e la schizofrenia del Death Metal alla malvagità e perversione del Black Metal. Una miscela che aveva trovato in Filth Catalyst una valvola di sfogo che dovrebbe entrare a far parte dell’Abc di chiunque ascolti Metal estremo (parere assolutamente soggettivo, sia chiaro).

La via è fondamentalmente la stessa, anche se, come era prevedibile, la produzione ci regala qualcosina in più. Niente da recriminare sotto questo aspetto: pur progredendo, il gruppo non ha stravolto il proprio sound, anzi, è stato attento a dare grande continuità alle soluzioni sonore adottate nel tempo. Ma l’ispirazione sembra esser venuta meno in diverse tracce, paralizzando spesso la band su passaggi piuttosto anonimi. Fanno eccezione alcune canzoni. Innanzitutto la stupenda “M33 Constellation“, uno dei brani più malvagi mai composti dalla formazione: tornano grandi protagonisti gli arrangiamenti perversi che fecero la fortuna del precedente album, e che supportati dal solito cantato creano atmosfere indescrivibili. Anche “Six Seals Salvation” si fa notare, in particolare per l’apertura all’insegna della violenza pura (ottenuta dall’insieme di song-writing, esecuzione e produzione, non dalla banale saturazione dei suoni come in molte release estreme).

Cito infine “Saturn Motion Theology“, giocata sul buon gusto che il gruppo dimostra quando si cimenta con parti lente. Se già l’opener (una sorta di intro) aveva messo in campo questa peculiarità, diversi altri passaggi disseminati in tutti il disco ne sono un ottimo sviluppo. Sembra che gli Arkhon Infaustus saranno sempre più orientati in questa direzione nel futuro, e visti i risultati non posso che felicitarmene. Il discorso è diverso per molti altri aspetti che sin’oggi li avevano contraddistinti: la loro creatività in determinati territori sembra arrivata a una sorta di punto di stazionamento, il che li ha portati a proporre metà delle composizioni in un continuo oscillare tra parti estasianti e altre anonime.

Insomma, un buonissimo album, ma con un problema di fondo: prosegue su una strada che non sembra avere grandi sbocchi. Mi auguro dal gruppo quella svolta che possa risollevarli, che renda di nuovo il loro nome qualcosa di quasi unico all’interno di una scena sovraffollata. Una nuova via, insomma, all’interno della quale ricontestualizzare le follie che sono state il principale basamento dei primi due album, e che non sono bastate, in questo nuovo episodio, a dare lo stesso slancio; ora occorre qualcosa di più, qualcosa forse di radicale. Sta di fatto che anche in questo Perdition Insanabilis non ci hanno delusi, proponendosi come uno dei gruppi di punta dell’etichetta francese. E nulla ci impedisce di pensare che alla prossima tappa la formazione si ripresenterà più in forma che mai.
Matteo Bovio

Tracklist
01. Genesis Of Loss
02. M33 Constellation
03. Abortion Of The Kathavatthu
04. Six Seals Salvation
05. Saturn Motion Theology
06. Oratio Descendere
07. Profanis Codex LXVI
08. Whirlwind Journey
09. Absurd Omega Revelation

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