Recensione: Performocracy

Di Fabio Vellata - 21 Aprile 2011 - 0:00
Performocracy
Band: The Poodles
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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83

Nel novero di gruppi sui quali scommettere agli albori della nuova ondata di rock proveniente dalle prodigiose terre nordiche, i The Poodles assumevano, a braccetto con Brother Firetribe, Wig Wam e più tardi H.e.a.t., il ruolo di punte di diamante assolute di un movimento in netta e costante espansione, destinato a segnare un’epoca con uscite dall’entusiasmante miscela di frizzante hard rock, smussato con vagonate di grande melodia e ritornelli orecchiabili.

Balzati all’attenzione nel corso del 2005 con l’ottimo “Metal Will Stand Tall”, i quattro barboncini (letteralmente “The Poodles”) hanno poi saputo confermare – ove possibile, incrementandone l’efficacia – le eccellenti impressioni sollevate sin dagli esordi, sfornando a ritmi pressoché costanti, album sempre più maturi, completi e ricchi di spunti di classe.
Ad ogni nuova uscita, un ulteriore passo verso un sensazionale equilibrio, bilanciato con sapienza tra una proposta dalle evidenti sfumature assorbite dal rock scandinavo – e in misura molto minore statunitense – con elementi di coinvolgente accessibilità, ottenuta mediante lo studio di suoni dalle connotazioni moderne, qualche strizzatina d’occhio all’air play e ritornelli corali, dalla presa resistente e duratura come il proverbiale cemento armato.
Riconosciuti in patria come autentiche celebrità, i quattro musicisti svedesi non hanno sinora mai fatto segnare un cedimento, consegnando agli ascoltatori un trittico d’album marchiati da talento cristallino, capace di modernizzare in larga parte quello che era un costume diffuso parecchio tempo fa: suonare ottimo rock (magari non proprio “hard”), riuscendo contemporaneamente a non rimanere confinati in ambiti “di vendita” troppo ristretti.
Il merito va ascritto essenzialmente ad una sensibilità elevata per le melodie, pietra angolare di ogni produzione targata The Poodles. Un carattere distintivo, ancora una volta elemento cardine di “Performocracy”, quarto capitolo realizzato dagli esordi ad oggi, che addirittura non sorprende nel mostrarsi degno successore degli alti valori sin qui mostrati.

Forse lievemente più oscuro in certe parti, rispetto a quanto sperimentato sinora, l’album pone in evidenza la magistrale ricerca di cori enfatici. Un elemento che s’incastona all’interno dei vari brani caratterizzandone con forza l’essenza, per proseguire quanto impostato già con il precedente “Clash Of The Elements”, disco di cui “Performocracy” appare quasi perfezionamento ed evoluzione.
Il taglio di suoni e produzione è alquanto raffinato ed attuale, piuttosto profondo e “morbido” nell’esaltare basso e chitarra ritmica: un approccio che amplifica la percezione di orecchiabilità ed easy listening, ponendo in risalto il notevole potenziale d’ascolto maturato dal gruppo, ormai capace di risultar gradito tanto agli appassionati di hard, quanto a semplici fruitori occasionali non proprio addentro alla materia.

Non li definiremmo commerciali, pur tuttavia va sottolineato quanto pezzi come “Father To Son”, “Love Is All”, “Bring Back The Night”, “Vampire’s Call” e “Cuts Like A Knife” – primo singolo già in rotazione in terre scandinave – siano in possesso di una struttura dal profilo parecchio accattivante, in grado di accedere con facilità alle simpatie di un pubblico piuttosto vasto, virtualmente ancor più elevato nei numeri, rispetto alla già abbondante notorietà conseguita sinora.
Suoni rotondi, riffing massiccio, ottimi assolo e ritornelli come si suol dire “da stadio”, di quelli che sarà facile trovarsi a cantare con veemenza durante i concerti.
Su tutto, spicca poi l’eccellente bravura dei singoli, unione stra rodata di professionisti di grande esperienza e carisma, abili nel songwrinting, tanto quanto con gli strumenti, cresciuti a dismisura se paragonati alla già entusiasmante prima release.

Il gruppo di Jakob Samuel e Pontus Egberg oggi, appare come una band d’eccellenza definitiva, assurta alle fasce alte del panorama (hard) rock europeo per rimanervi a lungo.
Costanti nella maturazione, i quattro svedesi hanno perso in minima parte la carica d’allegria e spensieratezza degli esordi. Un po’ come chi, invecchiando, ha meno di voglia di far casino per puro e semplice divertimento, ma è intenzionato a far sempre più sul serio, forte di una consapevolezza ed una coesione che rende garanzia di qualità a prova di bomba.

Nessuna sorpresa dunque, nel trovare i “barboncini” nuovamente protagonisti di un disco eccellente, a tratti dal piglio drammatico e dai ritornelli ammalianti ed emotivi, in cui riconoscere le solite doti di classe superiore a cui siamo stati abituati.

Poche parole per definire i The Poodles ciò che sono insomma: una certezza.

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Tracklist:

01. I Want It All 4:02
02. Until Our Kingdom Falls 3:03
03. Father To A Son 4:12
04. I Believe In You 4:11
05. Cuts Like A Knife 4:10
06. As Time Is Passing 5:13
07. Love Is All 4:49
08. Your Time Is Now 4:43
09. Action! 4:06
10. Bring Back The Night 5:14
11. Vampire’s Call 3:57
12. Into The Quiet Night 4:24
13. Don’t Tell Me 4:49

Line up:

Jakob Samuel – Voce
Pontus Egberg – Basso
Christian Lundqvist – Batteria
Henrik Bergqvist – Chitarre

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