Recensione: Permanent Vacation

Di Filippo Benedetto - 3 Gennaio 2004 - 0:00
Permanent Vacation
Band: Aerosmith
Etichetta:
Genere:
Anno: 1987
Nazione:
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85

Siamo nel 1987 e dopo un periodo di relativo silenzio discografico, interrotto poco tempo prima da una collaborazione alquanto riuscita (anche se rischiosa sotto il profilo musicale) con il gruppo rap dei Run DMC (chi non ricorda il remix di “Walk this Way” e il relativo video promozionale del pezzo?), gli Aerosmith se ne uscirono con un disco nuovo dal titolo  “Permanent Vacation”. Il disco, sancendo il ritorno alla grande del combo statunitense, effettivamente e ad un ascolto attento si presenta a tutti gli effetti per quello che è: un lavoro frizzante, immagine di una band con ancora molto da dire e pronta a rientrare di diritto tra le band storiche dell’hard rock. La copertina del platter si presenta davvero semplice e senza fronzoli, a dimostrazione della voglia di mettere in primo piano soltanto la musica: largo spazio, quindi, nella front cover, al logo della band e al titolo dell’album, il tutto su sfondo rosso. Ma passiamo all’analisi del disco.
Album che inizia con una lieve intro al primo pezzo, “Head Done Time”. Il pezzo ha un incedere ritmico cadenzato ma allo stesso tempo frizzante. Il lavoro di Perry alla sei corde è perfetto nel costruire pochi ma qualificanti riffs e la voce di Steven Tyler è molto calda e coinvolgente. A dare un tocco di ulteriore forza alla song subentra un assolo particolarissimo di Perry, conferendo alla track ulteriore originalità. Si prosegue con “Magic Touch” e sono atmosfere vivaci e sostenute da ritmiche basso/batteria leggermente più incalzanti  a prendere il sopravvento. Fondamentale risulta essere il bel refrain che dona godibilità e leggerezza al pezzo, permettendo a Tyler di giocare con i suoi simpatici vocalizzi. Anche qui si distingue per abilità (se non tecnica almeno a livello di arrangiamenti) Joe Perry. Con la terza song, “Rag Doll”, la band americana sfodera tutto il suo talento e valore di gruppo esperto nel sapere toccare le giuste “corde”  degli strumenti come dell’ascoltatore. Infatti la track “fa centro”, colpendo dritto al cuore con un refrain che risulta facilissimo stamparsi subito in testa. Il ritmo della batteria, base fondamentale del pezzo, permette poi a Perry di giocare sul manico della chitarra creando efficaci armonizzazioni con l’uso dello “slide”. “Simoriah”, quarta song del platter, è un’altra track frizzante e grintosa nella quale Tyler da una parte (con lo sfoggio di tutta la sua buona dote vocale) e Perry dall’altra svolgono i loro rispettivi ruoli in perfetta sincronia fino all’irrompere del bel refrain nel quale la melodia sembra quasi “esplodere”. Si passa alla quinta song e il combo statunitense fa di nuovo “centro” con un altro gioiello di questo disco, “Dude (Looks like a lady)”. La melodia di questo brano è davvero trascinante fin dalle prime note e l’atmosfera di frivolezza si stende piacevolmente su tutto il brano. Tyler canta in maniera perfetta, riuscendo quasi a “trascinare” il resto degli strumenti. Base del sound degli Aerosmith, il primo amore musicale di questa band, è stato il blues. Ed è proprio questo antico genere a farla da padrone nella seguente “St. John”. La track ha un incedere lento e cadenzato con le chitarre che quasi sussurrano un giro blues caldo e suadente. Convincente risulta il refrain e un bell’assolo, anche se breve, riesce a diversificare lo sviluppo della song.
“Hangman Hury” è un piacevole tuffo nel country, altro genere caro alla band, con l’ampio uso che  in esso è fatto dell’armonica. Anche qui bravissimi sono tutti i membri del gruppo nel creare uno sviluppo in crescendo al pezzo. Molto ben costruito il refrain, dalla melodia accattivante. Tocca alla seguente “Girls keep coming apart” riposizionare le coordinate musicali della band su un sound grintoso grazie anche all’ausilio di una sezione fiati per nulla fuoriposto rispetto alle chitarre molto “rock’n’roll”. Da notare lungo il pezzo che ogni strumento sembra partecipe di una gara: chitarra, basso e, appunto, la sezione fiati sembrano sfidarsi tra assoli e soluzioni armoniche. Potevano gli Aerosmith mancare di inserire una ballad in un loro album? Ed ecco che con la seguente “Angel”, la band di Tyler e Perry ci regala una bellissima e struggente ballad. Il pezzo ha un refrain coinvolgente che punta dritto al cuore e un assolo molto efficace e ben innestato nel pezzo sicuramente non fa che aumentarne la godibilità. Il disco sta per volgere a termine e la title track, “Permanent Vacation” appunto, riprende le sonorità trascinanti dei primi brani del disco, con in più un non so che di esotico nell’impostazione del brano, specialmente nel refrain. Molto ben fatto il lavoro all’armonica da parte di Steven Tyler che eleva di tono il pezzo. Con la seguente “I’m down” il combo statunitense trova modo di diversificare l’offerta musicale del disco con l’esecuzione di una cover dei Beatles. La song è eseguita in maniera abbastanza fedele all’originale anche se arrangiata nello stile  tipico e secondo la particolare personalità degli Aerosmith. Con la strumentale “The Movie” la band sembra concludere il proprio viaggio attraverso vari generi musicali e stimolanti atmosfere. Il pezzo è particolare, con un incedere a tratti cupo e con alcune parti narrate come se la song descrivesse con parole e musica la trama di un film. In sostanza una chiusura inaspettata ma nello stesso tempo interessante.
Per concludere questo disco segnò in maniera folgorante il “ritorno tra i grandi” di una band storica non solo per l’hard rock ma più in generale per il rock nella sua accezione più pura e genuina.    

Tracklist:

1. Heart’s done time
2. Magic touch
3. Rag doll
4. Simoriah
5. Dude (looks like a lady)
6. St. John
7. Hangman Jury
8. Girl keeps coming apart
9. Angel
10. Permanent Vacation
11. I’m down
12. The movie

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