Recensione: Permanent Waves

Di Onirica - 19 Marzo 2003 - 0:00
Permanent Waves
Band: Rush
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1980
Nazione:
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95

Secondo disco rappresentante della progressive band canadese dopo 2112, questo Permanent Waves sigilla il passaggio del gruppo a tendenze espressive ed artistiche più moderne che dopo pochi anni sarebbero sfociate nel riuscitissimo Hold Your Fire. Come da tradizione per i Rush anche questo capolavoro è composto da una manciata di brani di breve e lunga durata, tutti stracolmi di inventiva strumentale che straripa in ogni direzione: le spesse e sottili corde del basso e della voce di Geddy Lee non sono stanche di suonare in maniera esemplare e come ho sempre sostenuto sfiziosa per qualsiasi bassista che ami cimentarsi in questo genere di musica, la chitarra di Alex Lifeson inventa nuove strade che più tardi verranno rispolverate e ripercorse, mentre uno dei più grandi batteristi mai esistiti non fa che confermare la sua monumentale presenza all’interno di questo inarrivabile trio con la classe che solo la natura e l’esperienza possono regalare. Un disco spumeggiante come qualsiasi altro album dei Rush, ma questa volta ogni brano diventa un classico del rock di tutti i tempi e con questo mi riferisco a brani coverizzati da decine di gruppi in tutto il mondo perchè pezzi freschi e costantemente attuali col passare del tempo, intensi anche negli istanti di riposo, violenti e ricchi di passione spesso ma soprattutto volentieri. Molte fra le canzoni che sono state incise per questa uscita sono state riprese da grandi artisti per la stesura del tributo ai Rush.

Ogni testo è stato scritto da Neil Pert, in particolare quello dello start di The Spirit Of Radio dove le liriche sono proprio ispirate al piacere di svegliarsi con la musica e la compagnia di una voce amica nella città di Toronto. Chitarra e batteria si uniscono nell’impetuoso susseguirsi di riff freschi come la voce che accompagnano, fino a raggiungere un assolo stellare supportato da quattro spesse corde che non mollano mai la presa. Uno dei pezzi più famosi del trio canadese destinato a finire su diversi live video e cd. L’intero disco è circondato da una coltre oscura che non raramente contraddice i dolci sapori che Lee/Lifeson/Peart riescono a trasmettere sia con la musica che con le parole, un esempio è proprio posizionato in terza posizione dove troviamo Jacob’s Ladder: un songwriting nevrotico ma sempre più che soddisfacente, questa volta propone oltre ad un nuovo assolo da brividi, anche straordinarie linee psichedeliche che si staccano dalla limpida dimensione chitarristica per trasportare chi ascolta in una situazione misteriosa in perfetta corrolazione con le liriche, dove l’uomo può finalmente alzare gli occhi al cielo azzuro illuminato dal sole e perdersi nella fabbrica dei suoi sogni dopo tante nuvole. Tutto stupendo fino a questo momento ma mi piacerebbe dire che il bello non è ancora arrivato se anche le prime canzoni di questo album del 1980 non fossero così squisitamente indimenticabili.

Più difficile da interpretare il testo di Entre Nous. La scrittura acquista un tono più introspettivo e contribusice a migliorare il capolavoro strumentale con la riflessione destabilizzatrice secondo la quale in fin dei conti ognuno di noi non può sbarazzarsi tanto facilmente della propria individualità in un rapporto qualsiasi con il prossimo, nessuno potrà mai essere uguale a chiunque altro poichè esisterà sempre una discrepanza nell’illusione di vivere una relazione perfetta. Different Strings è stata spesso eseguita dai Dream Theater all’interno di uno dei medley proposti esclusivamente dal vivo. Pecora bianca del disco per la sua relativa tranquillità, andrebbe forse considerata come brano acustico ma di certo non meno coinvolgente, anzi da annoverare senza alcun dubbio tra i successi più caldi della band canadese.

Poteva mancare una lunga suite divisa in diverse parti? Ovviamente no. Per questa ragione Lee e Lifeson danno vita a Natural Science e stendono un velo pietoso su tutti i gruppetti da quattro soldi che pensano ancora che per fare del buon progressive basti sfoderare luride barbabietole da venti minuti ciascuna. Solo a pensarci mi viene la nausea, senza parlare dei testi. Sapete che le liriche dei Rush sono state oggetto di studio in alcune scuole americane? Complimenti al signore delle pelli Neil Peart, autore in questa ultima traccia di un vero e proprio inno al progresso. La scienza è un grande potere nelle mani dell’uomo, il cui compito non è solo di stimolarne la crescita ma anche quello di farne buon uso nel tempo in modo che il futuro possa effettivamente essere considerato migliore e non il risultato di una disonesta campagna acquisti. In un mondo dove per disgrazia le cause non riescono spesso a vedere i loro effetti, tutto questo non può darsi per scontato: il messaggio è trasmesso attraverso una struttura imperniata sulle solide note del basso di Geddy, nonostante la tripartitura il brano lascia respiro solo durante un brevissimo assolo di batteria, il resto rimane onda solenne ed incontrastata fino al termine del disco. Buon ascolto ragazzi.

In offerta speciale a soli dieci euro. Che aspettate a nutrire la vostra collezione di dischi?

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

1. The Spirit Of Radio
2. Freewill
3. Jacob’s Ladder
4. Entre Nous
5. Different Strings
6. Natural Science

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