Recensione: Perspective

Di Alberto Vedovato - 6 Gennaio 2009 - 0:00
Perspective
Band: Jason Becker
Etichetta:
Genere:
Anno: 1996
Nazione:
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90

“Chiamare Jason genio è riduttivo. Non si occupa dei trend, dei target di
audience, delle trovate di marketing. Lui suona tirando fuori le emozioni dal
suo cuore, e rende reale il fatto che la Musica è salutare per lo spirito umano.
Jason è un prodigio e con “Perspective” ha realizzato il suo miracoloso
potenziale”
(Marty Friedman).

Se negli anni del progresso tecnologico, del consumismo sfrenato e nella
commercializzazione di qualsiasi cosa si può ancora parlare di Musica Pura,
quest’album è probabilmente quello che più si avvicina a tale definizione. Le
circostanze parlano chiaro: nessun tour promozionale, nessuna vendita di gadget,
nessuna edizione speciale… solo sessanta minuti e quarantatrè secondi di
musica, con la emme maiuscola.

“Non sai cosa aspettarti quando inizia la prima traccia, ho sentito un sound
fresco e brillante con ritmi interessanti e melodie accattivanti. Ho iniziato a
stupirmi di come abbia potuto far accadere questo. Non so come, ma è riuscito a
dimostrare la mia teoria, che la musica nasce dal cuore. Sono rimasto molto
impressionato.”
(Steve Morse)

Chiariamo subito, quindi, che non si tratta di un classico disco “speed” come
quelli targati Cacophony, o un disco di Heavy Neoclassico come il suo
predecessore “Perpetual Burn”; qui si va oltre alla definizione di
genere, si passa dalla musica etnica alle composizioni barocche. I tempi in cui
le goliardiche esibizioni con Yo-YO in una mano e scale in legature con l’altra
la facevano da padrone sono ormai passati. Il Jason sbruffone ha lasciato
posto al Becker artista, che ha perso il dono della parola, ma ha trovato
quello più elevato della Musica, con la quale può comunicare a chi l’ascolta
pensieri e stati d’animo profondi proiettandolo in un turbinio di emozioni, di
viaggi esotici e viaggi temporali che poco spazio lasceranno al respiro, almeno
fino a quando l’ultima nota non avrà lasciato le casse dello stereo, ovvero
quando all’improvviso si ritroverà catapultato nella realtà arricchito di
sensazioni nuove, o depredato di emozioni che pensava nulla avrebbe mai potuto
far uscire.
“Perspective” significa letteralmente “prospettiva” sia dal punto
di vista strettamente geometrico, sia in quello più figurato di “punto di
vista”, accezione che ben si addice allora all’intento che sicuramente questo
platter porta con sé.
Tutta l’opera si erge a emblema del conflitto interiore che Becker viveva
in quel periodo, l’oppressione a una vita relegata a una sedia a rotelle,
l’impotenza di non poter più emetter suono né con la sua voce, né con le sue
dita. Infatti, ognuna delle nove tappe che compongono questo viaggio esprime una
profonda e vorace voglia di scoprire mondi nuovi (molte le influenze dalla
musica araba/medio-orientale), la voglia di uscire sotto la pioggia lasciando
che le lacrime di rabbia si uniscano alle gocce d’acqua, le urla disperate
celate sotto forma di vocalizzi pieni d’angoscia.

“Ho scritto canzoni e registrato quattro album. Ma quando ho perso la
capacità di suonare, qualcos’altro nella mia musica è diventato migliore.
Qualcosa di indefinibile. Tutte le canzoni di quest’album sono state create in
quel periodo. É come se fossero mie figlie. Mia madre le chiama “le sue nipoti”
(lett. “grandsongs” n.d.r.)”
.
(Jason Becker)

“Primal”, brano d’apertura, si fionda in una tribù dimenticata,
percussioni e voci di sottofondo creano atmosfere mistiche fino allo squarcio
profondo di una voce che afferra per mano le nostre anime moderne e le riconduce
alla loro vera essenza, all’uomo primitivo che senza vincoli si affacciava a un
mondo ancora da costruire. É questo l’ultimo brano che Jason ha
registrato con la sua chitarra, antitesi perfetta a ben pensarci, un pezzo
permeato di primitività e suonato come suo ultimo.
Una “prospettiva” che inizialmente non può che portare sconforto, distruggere e
dilaniare anche il più allegro e gioioso degli animi, disperazione ben descritta
in “Rain”, dove una sei corde carica di sentimento, quasi fosse un
effetto applicabile alla stregua di una distorsione o di un delay, ci commuove e
ci invita a uscire di casa e fare due passi sotto una pioggia purificatrice.
Dopo lo sconforto però, la rinascita deve cominciare… ecco che quindi un
titolo come “The End of the Beginning” rende bene la terza tappa
di questo nostro viaggio. Il pezzo più lungo dell’album, il più bello mai
scritto da Becker a parer del sottoscritto. Un brano in cui un insieme
sinfonico fonde perfettamente con la dinamica di una chitarra alternata tra la
classica e il distorto che assolve la funzione di “sviluppo del tema” eseguito
ora da un pianoforte, ora dai bassi, ora dall’ensamble tutto. Chitarra pregna di
significato, un’aria generale di ritrovata felicità, o semplice presa di
coscienza forse, di cosa si può fare se si ha una passione nella vita talmente
travolgente da poter fare a pugni col destino. E quell’armonico artificiale è la
summa, la massima esplosività delle emozioni che questa scoperta comporta. Messo
lì al momento giusto, talmente giusto che viene il dubbio che tutto il brano sia
stato scritto proprio a partire da quella nota, da quella scintilla di gioia.

Gioia ma anche una profonda malinconia traspare poi nel brano seguente,
totalmente eseguito da un coro a cappella, quasi un estremo tentativo di poter
ancora emetter fiato, di poter cantare. Allora la scelta di trasformare un coro
in un’orchestra diventa una sfida, voci maschili che interpretano la sezione
ritmica dei bassi e una voce femminile a far da violino primo, “più in alto”
sempre più in alto quindi fino a raggiungere il “Blue” del cielo,
dove “vita e morte” (“il titolo spiega cosa mi passava per la testa in quel
periodo” annota Jason) perdono significato e l’unica cosa che conta è la
bellezza del panorama di un “impero” da scoprire. Fino ad arrivare a quegli
arpeggi sweepati, tanto cari alla scuola barocca d’ispirazione Bachiana, che una
volta seguivano il numero dello Yo-Yo e che ora sono ora diventati il tema di
uno dei pezzi forse più famosi di Becker, “Serrana”; terzo
brano più lungo dell’album che ben si adatta alla musica da balletto (tant’è che
viene usato anche a questo scopo). Niente più distorsione quindi, niente più
dita a mo’ di ragno che si arrampicano su e giù per la tastiera a velocità
disumana, ora quelle sono note delicate, suonate da un piano e chitarra classica
accompagnati da un ensamble. L’ultimo sprazzo di una Poesia raccontata con il
più completo e inarrivabile linguaggio che l’uomo abbia creato: la Musica Pura.
Emblematica anche la scelta dell’ultima tappa, una cover di Bob Dylan,
come se tutto il nostro viaggio fosse stato solo un sogno, col quale, svegliati
alla mattina, dobbiamo fare i conti perché ha lasciato dentro di noi un tarlo di
gioia mista a tristezza, ennesima contraddizione dello spirito umano.

Jason Becker è sì un uomo da stimare, ma è soprattutto un compositore da
ricordare. In pochi anni di attività ha lasciato solo dei capolavori fino ad
arrivare a questa ultima piccola perla. Eppure di lui non si parla, come non si
parla mai di un disco come questo, e allora noi abbiamo il compito di dar merito
a chi davvero se lo merita.
Questa a cui ci troviamo davanti è Arte, massima espressione dell’Uomo. Non
lasciamola morire coperta dalla polvere, non lasciamo morire proprio quest’opera
che lotta contro il destino e contro la morte certa.

Ci siamo appena lasciati rapire da un gusto melodico sopraffino, originato da un
uomo la cui unica attività risiede nel poter ancora pensare, immaginare e
sognare chissà quali altri capolavori musicali che purtroppo potrà sentire solo
lui nella sua testa. Questa è una Musica senza tempo che parla direttamente al
lato più profondo dell’Animo, e che da qui a cent’anni sarà ancora ascoltata e
apprezzata. É una caratteristica che nell’epoca dell’usa e getta vale più di
qualsiasi altra cosa. É questo un premio all’Arte, un tributo all’Uomo, e queste
mille inutili e vuote parole poco riescono a descrivere e spiegare i sentimenti
umani, e per nulla possono competere con il Linguaggio Universale delle Note
Pure del quale Jason Becker è stato forse uno degli ultimi scrittori.

Alberto “Metal Priest” Vedovato

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Tracklist:

1. Primal
2. Rain
3. End of the Beginning
4. Higher
5. Blue
6. Life and Death
7. Empire
8. Serrana
9. Meet Me in the morning

Line Up:

Jason Becker – chitarra in “Primal”
Gary Becker – chitarra
Matt Bissonette – basso
Ron Becker – basso
Gregg Bissonette – batteria
Steve Hunter – armonica
Bobby McFerrin’s Voicestra
San Francisco Girls Chorus

Steve Perry – Guest Voice in “Primal”
Michael Lee Firkins – Guest guitar in “End of the Beginning”
Brett Tuggle – Guest Voice in “Meet Me in the Morning”

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