Recensione: Peyote Queen

Di Marco Giono - 28 Luglio 2016 - 11:00
Peyote Queen
Band: Gorilla Pulp
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Estate torrida che insabbia le parole. Il sudore invece, bagnandoli, confonde i miei scritti. Sono costretto così a riscrivere tutto di nuovo e ancora. Una parola rimbalza nei pensieri: mescalina. Bong, yeeaaaaa!!! Cari lettori ci ritroviamo finalmente a Viterbo. C’è un coyote, ma lo calpesto, il COYOTE si ingrandisce senza sosta. Chiudo la porta. Spengo la luce. Rimango con la band a lume di candela. Chi siete? I GORILLA PULP! Non c’è bisogno di urlare. Bong yeaaaaa!!! Uno alla volta…

Maurice alla voce e chitarre.

   Choris al basso

        Angioletto alle chitarre

  Bulldozer alla batteria…

Bong Yeeaaaa!!!

Schiaccio il coyote che si trasforma in un peyote. Di cosa si tratta? Come sono andate le cose veramente?

Tutto è iniziato un paio di anni fa con un paio di brutti ceffi, tali Maurice Flee e Choris che progettano nel deserto di Viterbo di tirare su una band. I Gorilla Pulp si completano con Angioletto e Bulldozer. Sto diventando ripetitivo, maledetto deserto…e fottute lattine! La prima pubblicazione dei Gorillas è un EP intitolato “Hell in a Can”. Inferno in una lattina. Dentro quella lattina o meglio dentro quell’ep ci puoi trovare un paio di porno star: Marina Mantero e Giada Da Vinci. Due celebrità del porno chiamate a prendere parte del video del singolo intitolato ‘Mean Devil Blues’. Approvato e da vedere. Chiaro no? No. Nella fretta non abbiamo citato ancora che combinano nel deserto: suonano heavy stoner rock o tufo rock. Non sono schizzinosi. Noi nemmeno.

I’m a simple man…I see boobs, I press like!, FrKEaGuY

Nella copertina settantiana di “Peyote Queen”, esordio discografico del 2016 dei Gorilla Pulp, la figura centrale è una giovenca i cui seni fanno bella mostra decuplicandosi sullo sfondo. O forse no, sono solo io che vedo tette ovunque. Poi c’è un ovetto luminoso trattenuto dalla giovenca stessa. Lasciamoci illuminare dalle infinite vie del misterioso oggetto.

 

La setta dei Gorilla illuminati.

 

Eppure la prima traccia è una sorta di vortice irrisolto. Una volta che finisci dentro a  ‘Die of Thirst’ non sei sicuro di esserci. A meno che non ami gente come i Monster Magnet, i Sabbath o gli Orange Globin. Nel qual caso attraversare ‘Caveman’ la seconda traccia sarà come nuotare in un grande bicchiere di  mojito con Dave Wyndorf mentre guardate i Flistones in versione splatter in una tv galleggiante. Tupa, Tupa. Ora seguitimi a caccia di funghi magici, come li tocchi ti trasformi in fungo e così via. ‘Magic Mushroom’ è la canzone meno epica che possiate immaginare eppure è un viaggio ad alta dispersione, mentre inseguite la luce vi capiterà di vedere persino gente come i Pink Floyd che vi sorridono senza denti. Non fatevi fregare da quelli. Concentratevi su ‘Peyote Queen’. The only thing I need is a Peyote Queen! Stoner al tufo che si espande ovunque, si eleva in riffoni a forma di onda…irrisolta. This is my Peyote Queen! Siamo risucchiati in ‘Witch Boogie’ con note alcoliche che si distribuiscono danzando intorno a Gauss. Salute a te Carl Fridoz! Yeaahhh tonight! Cavolo vedo adesso? Un’indianina con un cartello con su scritto ‘Mirage of India’, un miraggio ricorsivo. Let’s Boogie! Ci siamo rilassati su un tappeto orientale, ora corriamo. Insert Coin, peyote one! Quando meno te lo spetti ‘Road to temple’ si ammanta di aperture rock ludico in un substrato di fuligine distorta.  Da tutto sto bailame salta fuori la testa di un dio, o forse è il capo di una setta o più improbabilmente qualcosa ad accesso casuale. La ‘Ram’s Head’ è in moto perpetuo. La seguo in un headbanging disperato verso il premio finale. Un surf elettrico ad alto voltaggio con l’ectoplasma di una donna . ‘Electric Woman’. Staccate la corrente. Prego.

 

Sono in zona magica! (conclusione)

 

I Gorilla Pulp danno alla luce un album insperatamente vero, qualcosa che puoi toccare e di cui percepirne l’anima, creata  e ingenerata a sua vota da un refolo infernale che diviene modo di intendere il rock senza sovrastrutture, ma con una insana e maleodorante voglia di divertirsi. Funziona perchè tutto funziona. Dai suoni alla sapienza tecnica dei singoli, all’insipienza di volersi divertire sopratutto quando non è opportuno. Alla fine vorresti fossero andati oltre, la dove pochi eletti sono stati, ma è l’inizio di un viaggio, vediamo se ci saranno altre tappe. Intanto “Peyote Queen” è un fottuto buon inizio. Bong Yeaaaaaa!!!

 

MARCO GIONO

 

 

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