Recensione: Phobos Monolith

Di Daniele D'Adamo - 1 Gennaio 2016 - 0:00
Phobos Monolith
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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80

In coerenza con il collega Scott Conner, aka Malefic, mano e mente del progetto Xashtur, Jacob Buczarski dimostra inequivocabilmente che la provenienza geografica non sempre determina il mood della musica prodotta. Mare Cognitum, difatti, sua creatura partorita nel 2011, è un’altra drammatica manifestazione di black metal estremizzato verso la non-esistenza; ubicato emotivamente agli antipodi della solare e sorridente umanità brulicante le spiagge californiane.

“Phobos Monolith”, uscito il tre novembre dello scorso anno, rappresenta la terza incarnazione completa del cosmo immaginata da Buczarski, assieme a due altri full-length (“The Sea Which Has Become Known”, 2011; “An Extraconscious Lucidity”, 2012″) e a uno split con gli Spectral Lore (“Sol”, 2013).    

Cosmo che è il leit-motiv di “Phobos Monolith” (Fobos, o Phobos, è il maggiore nonché più interno dei due satelliti di Marte). I Mare Cognitum manipolano le propaggini del black metal che rispondono al nome di depressive e post-black (o eerie emotional music) per iniettare nella mente dell’ascoltatore la dose esatta di allucinazione, di follia, di visionarietà, per vivere davvero l’esplorazione dello Spazio Profondo da parte della one-man band di Santa Ana.    

Buczarski è un musicista capace e di esperienza, e riesce a dare al sound dei Mare Cognitum quella possanza che il genere richiede, soprattutto con un’attenta programmazione della drum-machine, difficile da distinguersi da un analogo umano. La chitarra svolge il classico duetto, imperniato sul riff lunghi, fluidi, sciolti, e melodici ricami che comprimono il cuore nel silenzio assoluto della tristezza, della mestizia, della malinconia.

“Phobos Monolith” è suddiviso in quattro meravigliose suite, in grado di proiettare il pensiero al di là dell’atmosfera terrestre, sì da renderlo in grado di esplorare i misteriosi diedri che, in numero infinito, compongono a mo’ di puzzle lo spazio conosciuto e quello ancora ignoto. La dolcezza drammatica delle armonizzazioni chitarristiche di “Weaving The Thread Of Transcendence” è semplicemente sublime e, esattamente come accade nella straordinaria scuola francese del post-black immerge l’anima nella Natura. Anche se, in questo caso, extraterrestre.  

Mare Cognitum non sono solo aulici viaggiatori di astronavi spinte alla velocità della luce, ma anche poderosi esploratori delle enigmatiche leggi del caos che regolano il moto dei rari atomi presenti fra una galassia e l’altra. “Entropic Hallucinations”, infatti, è una song totale. La sua potenza è mostruosa, lo screaming di Buczarski lacera la carne mentre le chitarre alimentano un main riff devastante. La spinta congiunta basso/batteria, poi, è spaventosa, potentissima, tale da travalicare tutte le forme di propulsione, anche quella nucleare.  

C’è anche spazio per l’atmospheric, che occupa gli incipit di “Noumenon” ed “Ephemeral Eternities” – raggelante, questo – ma, per onestà del vero, trattasi di poca cosa. Pur essendo attraversato, anche abbondantemente, dalle ramificazioni nate dal black primigenio, “Phobos Monolith” è un album di black metal. La struttura di base, seppur abbellita da istanti di sublime e struggente lirismo (“Noumenon”, appunto) e di costanti richiami alle morbide melodie di Alcest & Co., è imperniata su tutti, nessuno escluso, che dipingono in modo unico il black metal stesso. Che quando occorre, supera i confini dell’allucinazione dovuta all’esagerazione sonora, come in “Ephemeral Eternities”, stupefacente song dalle armonie trasognanti materializzatesi chissà, oltre la nebulosa di Andromeda.

“Phobos Monolith”: altro piccolo capolavoro regalato agli appassionati dalla grande label underground I, Voidhanger Records.   

Daniele D’Adamo

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