Recensione: Physical Graffiti

Di Rombonauta - 22 Luglio 2003 - 0:00
Physical Graffiti
Band: Led Zeppelin
Etichetta:
Genere:
Anno: 1975
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
95

Nel 1975 venne pubblicato Physical Graffiti, il sesto album degli Zeppelin. Solo le prenotazioni del disco fruttarono alla band 15 milioni di dollari, con esordio direttamente al terzo posto nelle classifiche per quello che, a detta dei membri stessi della band, è il disco più “hard” da loro mai realizzato. A dire il vero le registrazioni dell’album erano iniziate molto prima, esattamente nel novembre del 1973, però John Paul Jones si ammalò e il tutto venne rimandato al febbraio dell’anno successivo. Inoltre, sebbene i quindici pezzi fossero pronti e mixati fin dal giugno del 1974, passò un ulteriore anno prima che il progetto del loro album doppio vedesse la luce nei negozi. Questo avvenne perchè il contratto quinquennale degli Zeppelin con l’Atlantic Records era scaduto, e i quattro musicisti erano impegnati nella fondazione della loro nuova compagnia musicale, la Swan Song. Inotrodotti gli aneddoti storici, parliamo più in dettaglio dell’album.

Una citazione doverosa va sicuramente alla bellissima copertina, raffigurante un edificio americano, di tipo vittoriano, attraverso le cui finestre è possibile vedere varie immagini intercambiabili: fotografie di Lee Harvey Oswald e W.C. Fields si alternano con i ritratti dei Led Zeppelin in costume (scattati la notte in cui avevano erroneamente preso in giro Stevie Wonder). In quel periodo i Led Zeppelin si sentivano in gran forma e i nuovi pezzi vennero scritti quasi di getto. CUSTARD PIE venne ispirata da Shake ‘Em On Down di Bukka White, chitarra a mitraglia, gemiti d’armonica e un’atmosfera di volgarità, senza vergogna. La monumentale e drammatica KASHMIR era destinata a diventare il nuovo pezzo forte degli Zeppelin, chi non ha mai ascoltato questa canzone si perde un grossa fetta della storia dell’hard rock. IN THE LIGHT guarda di nuovo ad oriente, replicando il ronzio dell’armonium con la sovraincisione di chitarre suonate con l’archetto, lo shenai indiano e il testo descrivente la ricerca spirituale. IN MY TIME OF DYING era un vecchio spiritual, reinterpretato da Page con la sua bizzarra slide guitar, che preannuncia un decollo verso un rock duro e rapidissimo (per l’epoca). Il pezzo si conclude con Plant che implora Gesù, un’anomalia visto il repertorio della band. Altro grandissimo pezzo è TRAMPLED UNDER FOOT, che comincia con una parte di clavinet suonata da Jones e che ha una lirica che parla di una donna che viene paragonata ad un’automobile. Eccezionale qui la prova canora di Plant, veramente al di sopra delle righe. TEN YEARS GONE descrive il rimpianto dello stesso Robert per la sua prima ragazza. Questo è uno dei miei pezzi preferiti dell’album, con la sua atmosfera malinconica e dolce allo stesso tempo, dotata di un pathos che è secondo solo a quello di Kashmir. SICK AGAIN e THE WANTON SONG nacquero sostanzialmente come rifacimenti (e che rifacimenti!!!) di The Rover e The Crunge. Parecchi gruppi del tempo, e non solo, si sarebbero baciati i gomiti per scrivere due pezzi del genere, che si riferivano entrambi allo stormo di ragazze che assediavano i Led Zeppelin. A questi otto nuovi brani furono aggiunti sette vecchi “scarti” remixati, al fine di realizzare quel doppio album che da anni Page voleva produrre. Il collasso chitarristico di BRON-YR-AUR e lo splendido panorama marino di DOWN BY THE SEASIDE risalgono entrambe alle sedute del 1970 per Led Zeppelin III, mentre NIGHT FLIGHT e la jam BOOGIE WITH STU (canzone fuori di testa) provengono dalle registrazioni del 1971 per il quarto album senza titolo. I tre pezzi rimanenti facevano parte delle sedute dell’anno prima. HOUSES OF THE HOLY , l’unico pezzo del lotto che, a mio parere, è sottotono, aveva dato il titolo all’album precedente del gruppo, pur senza apparire nella tracklist. BLACK COUNTRY WOMAN è una jam sciolta e improvvisata, su cui Plant declama la sua supplica più visionaria per l’unità, l’amicizia e gli ideali trascurati degli anni ’60. Infine la bellissima THE ROVER, che nella scaletta del disco è messa come secondo pezzo, con Custard Pie come primo, apre l’album in maniera potente e sublime (diciamo pure geniale).

In definitiva è un album stupendo, che io reputo alla pari con il quarto, e se non avete mai ascoltato pezzi come Trampled Under Foot, In My Time Of Dying, Custard Pie, Ten Years Gone e soprattutto Kashmir, mi dispiace perché non conoscete veramente il vero valore dell’Hard Rock nella sua forma originale.

Tracklist:

CD 1
1 – Custard Pie
2 – The Rover
3 – In My Time Of Dying
4 – Houses Of The Holy
5 – Trampled Under Foot
6 – Kashmir

CD 2
1 – In The Light
2 – Bron-Yr-Aur
3 – Down By The Seaside
4 – Ten Years Gone
5 – Night Flight
6 – The Wanton Song
7 – Boogie With Stu
8 – Black Country Woman
9 – Sick Again

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