Recensione: Pilgrimage

Di Filippo Benedetto - 24 Maggio 2004 - 0:00
Pilgrimage
Band: Wishbone Ash
Etichetta:
Genere:
Anno: 1971
Nazione:
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85

Talvolta risulta impresa difficile cimentarsi nella recensione di grandi gruppi. L’impresa diventa ancor più difficile se la band o l’artista da recensire è di difficile “catalogazione”. Questo preliminare discorso diventa condizionante, poi, quando il gruppo oggetto di recensione porta il moniker “Wishbone Ash”. Questo magnifico combo, tra i più importanti (a parere del sottoscritto) del panorama hard rock/progressive degli anni 70, porta in maniera lampante a chiarire questi punti preliminari. Il perché sta nell’approccio dei quattro musicisti alla musica: un originale, intelligente lavoro compositivo sempre alla ricerca di soluzioni d’incontro tra generi diversissimi come il rock, l’hard rock, il blues, il jazz, il progressive…. persino il folk. Tutto questo è, nella sostanza, “Wishbone Ash”. Dopo un esordio illuminante con l’omonimo platter, i nostri bissarono nel 1971 con un altro bellissimo disco intitolato “Pilgrimage” (disco che venne registrato nello stesso periodo in cui uno dei chitarristi del gruppo, Ted Turner, aiutava alla chitarra John Lennon nelle sessioni in studio di “Imagine”).  Con questo album prosegue la ricerca stilistica del gruppo che, con questa seconda fatica, arriva a comporre songs quasi interamente strumentali, concentrando l’attenzione dell’ascoltatore su un songwriting decisamente più complesso di quanto non fosse nella prima release. La copertina di “Pilgrimage” è molto strana; di essa colpisce, innanzitutto, l’uso dei colori che donano alla front cover un fascino tutto particolare.

L’apertura del disco è affidata a “Vas dis”, brano ricco di virtuosismi strumentali molto accattivanti. In apertura di song è da notare l’eccellente simbiosi tra il basso e la batteria che tessono una trama ritmica incalzante e dinamica. L’umore vagamente jazz del pezzo e ben “spiegato” dalle vocals e dalle chitarre che, all’unisono, intonano il tema centrale del brano. La batteria, come già ho sottolineato in precedenza, gioca un ruolo molto importante per la riuscita della track, sul finale della quale regala all’ascoltatore un breve assolo molto ben impostato. La seguente “The Pilgrim” è il primo vero e proprio gioiello del platter. Un’intro quasi lisergica, merito di un riff di chitarra (e basso) molto rilassante, precede l’irrompere di un riffing più diretto e quasi “frenetico”. L’abilità degli Wishbone Ash è quella di deliziare l’ascoltatore con passaggi melodici sempre in equilibrio dinamico tra parti più ermetiche e altre di più evidente “apertura” armonica”. In questo caso la band gioca sul contrasto tra parti vocali morbide e il tema strumentale che sembra concitato e martellante. Il risultato è una splendida suite strumentale che coinvolge l’ascoltatore dall’inizio alla fine, soprattutto sul finire, “in crescendo”, del brano. Cambia decisamente atmosfera la terza traccia, “Jail Bait”. Questa canzone riporta la band a cimentarsi in un rock blues di grande impatto, impreziosito da passaggi solistici trascinanti. Qui le vocals sono più presenti, contribuendo a sviluppare la song lungo i cardini della classica forma canzone, il tutto però con originalità e intelligenza compositiva. La seguente “Alone” è un altro pezzo strumentale, dove solismi chitarristici quasi lirici vengono impreziositi da un tappeto semiacustico molto suggestivo. Questa song ricorda per certi versi lo zeppelin sound, ma ciò ha una rilevanza poco evidente data la bravura del combo nello sviluppare il brano secondo la propria personalità. “Lullaby” sembra continuare il “viaggio” musicale intrapreso con la seguente track, ammorbidendo i suoni e sviluppandosi lungo melodie riflessive e malinconiche. Elegante la prestazione del basso, che costruisce un’ottima base sulla quale si stende il riffing del duo Turner/Powell. Passando a “Valediction” ci troviamo ad un brano che quasi potremmo definire “narrante”, ma non sono solo le vocals a dispiegare un contenuto ma soprattutto la musica che sembra raccontare una storia antica (o una leggenda d’altri tempi).Ma forse è’ una semplicemente creata soprattutto dal gusto e dalla classe esecutiva dei nostri che riescono a raccontarsi con i propri strumenti.  Passando alla conclusiva “Where were you tomorrow” ci troviamo di fronte ad un’altra traccia lunga, quasi dieci minuti, ma pregna della grande energia e carisma del boogie, dove un’esecuzione frizzante dove la grinta di ogni strumentista (vocals comprese) gioca un ruolo di grande importanza.

Per concludere “Pilgrimage” va annoverato senza indugi tra i classici non solo del combo britannico, ma anche tra gli album fondamentali della discografia di ogni buon rocker. Farlo vostro arricchirà di non poco le vostra conoscenze su un certo modo di far musica davvero inimitabile. 

Nota aggiuntiva: nella versione remaster è presente la traccia live, come bonus track, di “Jail Bait”.

1.   Vas Dis  – 4:41
2.   The Pilgrim – 8:30
3.   Jail Bait – 4:41
4.   Alone  – 2:20
5.   Lullaby – 2:59
6.   Valediction – 6:17
7.   Where Were You Tomorrow – 10:23
8.   Jail Bait [live/*] – 4:54

Line Up:

Ted Turner: guitars and vocals
Andy Powell: guitars and vocals
Martin Turner: bass and vocals
Steve Upton: drums and percussion

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