Recensione: Pit Stop

Di Francesco Maraglino - 19 Ottobre 2014 - 9:20
Pit Stop
Band: Dalton
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2014
Nazione:
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74

E’ passato un quarto di secolo da “The Race Is On”, debutto discografico dei Dalton, combo fondato dall’ex batterista dei Treat Mats Dahlberg che, insieme agli Europe ed agli stessi Treat, rappresentò il gotha dell’hard rock melodico svedese degli anni d’oro dell’hair metal.
Da qualche tempo i Dalton sono tornati in pista, e propongono adesso un full-length nuovo di zecca (anche se molti brani sono rimaneggiati da un demo del 1990 per un album che non ha mai visto la luce). Il platter è prodotto da Erik Mårtensson (Eclipse, W.E.T.) e di esso il quintetto scandinavo ha dato un piccolo assaggio al Frontiers Rock Festival con la scanzonata ed energica Hey You.

“Pit Stop” si apre nel più classico dei modi, con Ready Or Not, un peculiare uptempo che si barcamena abilmente tra melodia ed echi di Kiss ed Aerosmith.
Tutto l’album è pervaso proprio dalla verve e dallo spirito catchy di cui la citata Hey You ha già  dato sfoggio. Ne è sfolgorante esempio One Voice, carica di brio ed orecchiabilità, ma pure Up & Down,  effervescente e dilettevole pop-rock dal mood AOR.
Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano Something For The Pain, brano veloce, vispo e deciso, 50/50, altro vivace pop-rock, e il festoso rock’n’roll TGIF.
Un più robusto e dinamico rocker – di rimarchevole fattura – è Bad Love, mentre Here We Are è distesa, scandita e piene di suggestiva melodia.
Non mancano, ovviamente, gli slow, è se Don’t Tell Me Lies è, tra questi,  una semi-ballad tutto sommato di maniera, Follow Your Dreams, pur se sempre connotato come “lentaccio” convenzionale anziché no,  si riscatta per un pregiato assolo di chitarra.

In definitiva, i Dalton si ripropongono al proprio pubblico offrendo un hard rock facile facile, anche se appena un po’ più hard (merito del produttore?) del loro passato, pieno di vitalità ed energia. Pit Stop, dunque, non sarà uno di quei platter memorabili destinati a cambiare la storia del rock, ma diverte e convince appieno grazie ad armonie e cori spesso irresistibili, un uso sapiente e misurato delle tastiere ed interventi della sei-corde decisi e mai invadenti.

 

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