Recensione: Planetarium

Di Tiziano Marasco - 27 Dicembre 2017 - 0:00
Planetarium
Band: Raventale
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Lo Schüldiner (Joseph, non Chuck) è uno strano animale. Viene dalla terra dei Trulli, ma non vi abita da tempo e si è trasferito all’estero. In effetti, millanta di vivere nella stessa città in cui vivo io e, se chiedete in catasto vi danno pure ragione. Ogni tanto lo vedo, ci vado assieme ai concerti degli Insomnium, gli Enslaved e roba simile, che vi dà un’idea di che genere parleremo oggi. Alle volte mi passa pure della roba chiedendomi parere. E questo giro è d’uopo ch’io spenda qualche parola in più.

Questi (cioè questo) Raventale sono/è sulla carta la classica atmoblack-one-man-band con provenienza ucraina in aggiunta. Ad aprire la Encyclopedia Metallum in effetti si nota che il nostro è denotato da una marcata produttività, soprattutto agli inizi. Dal 2006 al 2012 il nostro NON ha pubblicato un full-length solo nel 2007. E a livello complessivo i Raventale vantano 8 album in 11 anni (e sticazzi).

Il 2012 è, in effetti, l’anno in cui il mastermind della band (Astaroth Merc) inizia a prender parte ad altri progetti, il che diminuisce la frequenza di uscita (per “Dark substance of Dharma” occorre una pausa di tre anni, poi arriva questo “Planetarium” di cui oggi) ma, dall’altro lato, sembra aver dato una accelerazione alla trasformazione della band. Queste due affermazioni non possono essere attestate con certezza. Va però detto che in effetti gli ultimi due album del nostro si distinguono nettamente da quanto c’è stato prima. Artwork “pulito” e piuttosto astratto (in luogo delle classiche brume e nebbie del black e derivati). Decisa pulizia del suono e produzione sobria, ordinata, buona.  

E in effetti, “Dark substance of Dharma” aveva portato un sound più maturo, affinato ora in “Planetarium”. Il classico “atmoblack” (atmospheric black, ma uno si rompe a scriverlo ogni recensione) degli esordi si è evoluto in qualcosa di non più esattamente atmospheric ma sicuramente black. Non è neanche black classico, è qualcosa sicuramente già sentito, eppure dinamico, moderno, combattivo. Nel senso che combatte per farsi notare nel grigio (in tutti i sensi) del black attuale. 

“Planetarium” presenta 4 tracce basate un mix piuttosto originale, costruito su riff effettivamente molto indovinati. Non vi è una predominanza di tastiere, come spesso accade, anzi, le chitarre dominano eleganti e instancabili. Vi sono però strutture solide che tengono in piedi tutte le tracce. La opener “Gemini” è una mazzata nervosa e piena di groove. La malinconia (alternata ad un riff micidiale) la fa da padrone in “Bringer of Celestial Anomalies”, ma ben combina i toni plumbei con indovinate accelerazioni. La seconda parte è lievemente più classica, tuttavia mantiene solidità e buone melodie.

Il risultato finale di questi 38 minuti scarsi di musica è qualcosa di estremamente black, eppure molto fresco e assai coinvolgente, con menzione assoluta per i primi due pezzi. Un ottimo risultato per quanto ci riguarda. Viste le premesse, possiamo dire che il perseverare di Raventale, alla lunga ha dato degli ottimi frutti. Speriamo in ulteriori miglioramenti in futuro. 

 

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