Recensione: Pocho Aztlan

Di Daniele Ruggiero - 6 Febbraio 2017 - 0:00
Pocho Aztlan
Band: Brujeria
Etichetta:
Genere: Grindcore 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Messico 2016, tramonto sulla spiaggia di Cancùn.

Il senso di pace e beatitudine accarezza la sabbia, mentre il rumore delle onde placa i pensieri soffocanti di un turista. Un momento idilliaco che all’improvviso viene divorato dal terrore. Quattro loschi individui mascherati emergono dal mare e, armati di lunghi e taglienti machete, portano via lo sventurato investito dal panico.

Ha inizio così un rapimento surreale che attraversa in lungo e in largo l’intero territorio messicano. I banditi sono Juan Brujo, Fantasma, Hongo (Shane Embury) ed El Cynico (Jeff Walker), parlano perfettamente lo spagnolo e fanno parte di un’antica alleanza nata nel 1989 chiamata Brujeria. All’interno di un furgone sgangherato che puzza di hascisc, un mangianastri obsoleto ingoia una cassetta scintillante con su scritto “Pocho Aztlan”.

La quiete della notte è stuprata dall’irriverente hardcore a tinte death e punk che fuoriesce a tutto volume dalle casse del mezzo. Dopo un intro che non fa presagire nulla di buono, si scatena una violenza sonora tanto audace da prendere le sembianze di un cazzotto che si materializza in pieno viso, potente e deciso. I ritmi serrati e le accelerazioni continue sono la caratteristica principale della folle corsa intrapresa dai malviventi. Alle derapate eccitanti seguono ripartenze improvvise e, come in una gara di rally, si raggiungono velocità importanti dimenticandosi spesso del freno. La paura e i timori iniziali cominciano a mutare in puro e genuino divertimento.

Tra il denso fango del grindcore, i toni si alzano ed i discorsi prendono pieghe diverse: si passa da antiche credenze popolari a efferati assassinii, dall’immigrazione a profezie sull’anticristo. Attraversando distese di cocaina si incontrano narcos e si intravede addirittura l’ombra del celebre Escobar. Dal finestrino gli antichi resti delle civiltà precolombiane fanno da cornice ad atmosfere dinamiche ed evocative che esortano a combattere contro i soprusi degli invasori. I Brujeria non si fermano davanti a nulla, sulle ali dell’entusiasmo riescono perfino a guadare un fiume di adrenalina intonando un ritornello da urlare a squarciagola: «México Mèxico la la la!! México México sì señor!»

“Pocho Aztlan” è un itinerario delirante che sembra non avere una meta precisa se non quella di raggiungere, attraverso brutalità, ironia e tempi martellanti, l’ultimo stadio del godimento in salsa piccante metal. Sulle note di ‘California Uber Aztlan’, cover dell’originale ‘California Uber Alles’ dei Dead Kennedys, termina il nastro di una cassetta da sballo che è stata la colonna sonora di un viaggio esilarante e coinvolgente ma ancora senza spiegazione.

A finire è anche la benzina, il furgone si ferma, infatti, proprio al confine tra Messico e Stati Uniti, dinanzi all’enorme muro che sta per essere completato. Il povero turista viene imbottito di esplosivo e… «Viva Presidente Trump!». Ma questa è un’altra storia. 

Lunga vita ai Brujeria!

Daniele Ruggiero

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