Recensione: Portrait Of The Abyss Within

Di Eugenio Giordano - 24 Maggio 2004 - 0:00
Portrait Of The Abyss Within
Band: Eldritch
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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65

Con questo quinto “Portrait of the abyss within” gli Eldritch si giocano la loro faccia, e una carriera decennale lastricata di grandi soddisfazioni e profondi azzardi artistici che passando attraverso capolavori come “Headquake” e “El nino” hanno generato intorno alla band tricolore un alone di leggenda quasi surreale. Gli Eldritch sono stati pioneri di una scena della quale non sono mai stati protagonisti, la loro eredità raccolta da altre band ha segnato profondamente la storia del metal italiano come lo conosciamo oggi.

Dopo l’abbandono del progressive avvenuto col precedente “Reverse” la band ha subito un importante processo artistico durante il quale la personalità sonora degli Eldritch è stata riconsiderata e messa in discussione. La band sembra aver attutito il tonfo seguente all’uscita di “Reverse”, un platter criticato e a mio parere veramente poco ispirato. Comunque non si percepisce una volontà di ritorno alle origini progressive del gruppo in questo nuovo disco. Abbandonate le intenzioni New Metal di “Reverse” gli Eldritch di oggi percorrono vie nuove e convincenti in bilico tra passato e futuro assorbendo la lezione di act innovativi della scena metal moderna. Su tutti spiccano i Nevermore ambiziosi di “In memory” e oscuri di “Dreaming neon black”, a questi aggiungete le influenze del death melodico svedese di band come In Flames o degli sperimentali Soilwork di “Natural born chaos”. Non mancano concetti progressivi, spesso solo accennati, gli Eldritch guardano ai Dream Theater eclettici di “Six degrees of inner turbolence” e alle loro strane soluzioni ritmiche cercando di generarne di nuove e innovative. La produzione di “Portrait of the abyss within” è giocata sulle chitarre ritmiche del ritrovato e geniale Eugenio Simone e sulla batteria ossessiva di Davide Simeone. In questo disco Terence Holler gioca su una interpretazione piavevolmente sobria, graffiante e meno lirica rispetto al passato. In generale la band punta su composizioni oscure e compatte, evitando divagazioni particali o ripetitive. Ogni canzone possiede una poderosa ossatura ritmica, questo nuovo è il disco più brutale della storia band nostrana e le chitarre sono totalmente dominatrici del sound del gruppo. I tratti thrash dei riff, i cambi di tempo, i suoni oscuri e quasi cross over delle ritmiche generano un “ritratto” sonoro complesso su ciò spiccano melodie vocali minori e malinconiche che rimarcano il gusto compositivo degli Eldritch.

Dopo l’inquietante intro “Muddy clepsidra” il disco decolla sulle ritmiche poderose di “Forbidden” dove Simone finalmente ritorna a costruire riff granitici e avvolgenti, tutto però appare più buio rispetto al passato, anche le melodie vocali dal refrain quasi romantico rendono il pezzo una prova artistica assoluta da parte della band. Con “The world apart” gli Eldritch giocano su tempi dinamici e strutture ritmiche claustrofobiche, la melodia centrale del ritornello è ispirata e convincente fin dai primi passaggi. Le digressioni malinconiche di “This everlasting mind disease” si infrangono sul muro sonoro della sezione ritmica, ormai è evidente la nuova anima artistica della band che ha trovato un equilibrio credibile e raffinato. Nervosa e atipica “Picture on this wall” apre la strada a “Dice rolling” e “Drowning” due pezzi ispirati ma non particolarmente convincenti per via di ritmiche troppo rilassate e contaminazioni divergenti dal metal ossessivo delle canzoni precedenti. Più elaborata e ambiziosa “Blindfloded walkthrough” è una composizione ibrida capace di colpire l’ascoltatore e di spiazzarlo con linee di chitarra sporche e disturbanti. Non siamo di fronte a un disco facile da assimilare per un metallaro ortodosso, per me ci sono voluti alcuni ascolti, ma la creatività degli Eldritch è emersa progressivamente col passare del tempo. Ottima “Slow motion k us” è una canzone potentissima dove ritmiche oscure si intrecciano in maniera asimmetrica con linee vocali dal forte refrain minore. La conclusiva “Lonesome existance” è un apparente slow tempo che si trasforma in un pezzo potente e distorto come i Nevermore hanno spesso insegnato in passato.

A conti fatti non credo di poter di affermare che gli Eldritch siano tornati ai fasti del passato, questo “Portrait of the abyss within” è un disco molto lontano dai miei ascolti medi e non mi sento di avvallarlo come un lavoro fondamentale. Senza dubbio gli Eldritch hanno ritrovato ispirazione e potenza e spero che questo sia percepito da tutti voi in maniera netta. In ogni caso siamo di fronte a una rigenerazione artistica di spessore indiscutibile, bravi. 

1 Muddy clepsidra
2 Forbidden
3 The world apart
4 This everlasting mind disease
5 Picture on this wall
6 Dice rolling
7 Drowning
8 Blindfolded walkthrough
9 See you doen
10 Slow motion k us
11 Lonesome existance
  

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