Recensione: Power from the Universe [Re-release]

Di Stefano Ricetti - 28 Gennaio 2015 - 0:10
Power from the Universe [Re-release]
Band: Battleaxe
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2014
Nazione:
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78

La Spv/Steamhammer, un paio di mesi fa, a mo’ di festeggiamento per il trentennale, fa uscire Power from the Universe in una veste denominata Special 30th Anniversary Edition, ossia il secondo vagito ufficiale dei Battleaxe, roccioso combo appartenente alla Nwobhm, in un inedito formato digipak, con i nove brani originali totalmente rimasterizzati.

Periodo formidabile, quello dei primi anni Ottanta in Terra d’Albione, nel quale i quattro metaller di Sunderland riuscirono a ritagliarsi il proprio piccolo spazio all’interno di un’affollata fossa dei Leoni, cuore pulsante di quel movimento probabilmente irripetibile nella storia della musica dura. Prendendo a prestito una celebre frase di Winston Churchill, evidentemente rilasciata in altri ambiti e modificata all’uopo, in quel momento l’Inghilterra “Era una nazione dal cuore di Leone alla quale Saxon, Iron Maiden e Def Leppard hanno fornito il ruggito”. Tre band a significare la punta dell’iceberg di un nuovo, frizzante modo di proporre sonorità pesanti.

I Battleaxe dissero la loro, fra la miriade di concorrenti, tramite le mazzate contenute in Power from the Universe, nel 1984, per lo scrivente il Loro miglior disco di sempre, anche se va rimarcato che Heavy Metal Sanctuary, l’album che ha sancito il gradito ritorno del combo dal moniker guerresco del 2014, non ha di certo deluso le attese.   

La Special 30th Anniversary Edition, oltre a schierare quattro rare tracce in qualità di bonus track, si accompagna a un booklet di dodici pagine contenente qualche foto inedita del passato, tutti i testi, le liner note per ogni brano – invero mutilate, per via di un errore in fase di stampa – e la storia della band su di una facciata.

Poco più avanti, in questo scritto, verrà riproposta la recensione di Power from the Universe uscita in tempo reale, nel 1984, mentre qui di seguito ci si occupa delle quattro canzoni aggiuntive all’edizione del trentennale. Il lotto delle prime tre appartiene a delle registrazioni effettuate nel 1987 presso gli Impulse Studios di Wallsend. Killer Woman è così fottutamente Saxon che manco sembra di essere di fronte ai Battleaxe, quantomeno finché Dave King non attacca e ci si accorge che c’è lui e non Biff Byford dietro al microfono. Radio Thunder pare mutuata dalle session di Innocence is no Excuse, guarda caso ancora degli Stallions di Barnsley, mentre la ruffianotta My Love’s on Fire occhieggia all’hard americano, sponda Motley Crue. Capitolo a sé, invece, per l’antica Love Sick Man, traccia che non trovò collocazione su Burn This Town, del 1983, disco d’esordio dei Battleaxe, per meri motivi fisici legati allo spazio a disposizione. Beh, anche in questo caso pare davvero che si tratti di un outtake estratto da Denim and Leather… detto tutto, no?     

Saxon&Battleaxe: questione di asce, evidentemente…

 

Recensione di Power from the Universe dei Battleaxe tratta dalla rivista Rockerilla numero 50 dell’ottobre 1984, a firma Beppe Riva. Uno spaccato interessante per poter assaporare, al meglio, gli umori musicali di quel particolare momento storico.  

L’amore dei fan verso l’ormai classico stile Della NWOBHM non è scemato, nonostante la straordinaria affermazione dei metal act americani. Lo stesso Kerrang!, incalzato dai suoi lettori, si è visto “costretto” a dedicare articolo e copertina alle rivelazioni del Regno Unito, senza invero scoprire gran cosa.

Piuttosto dei pedissequi Tokyo Blade o Persian Risk lì promossi a pieni voti, preferiamo proporvi BATTLEAXE, un vigoroso four-piece strettamente legato alla tradizione del british H.M. Subito un nome per inquadrarli: Saxon. Qualcuno a questo punto storcerà il naso, dimenticando che ai tempi di “Strong Arm of the Law”, Saxon erano considerati la miglior power-band in circolazione. Analogamente ai guerrieri sassoni, Battleaxe prediligono riff allineati secondo geometrie evidenti e precise, su cui si innesta una voce forte ma melodica, alla larga del caos del thrash-metal; anch’essi si identificano nel concetto di BAND, la cui forza consiste nella coesione, non nella presenza di una star.

Sono questi i caratteri emergenti dal secondo — e migliore LP, “Power from the Universe”; prima di affrontarlo, ricapitoliamo i tratti salienti della loro storia.

L’ascia di battaglia è affilata nel giugno ’82 dal chitarrista Steve Hardy; il battesimo di fuoco lo riceve nell’Hard Rock Festival di Leeds, come apripista per affermati act quali Saxon, Twisted Sister, Girlschool. Rapidamente esce il primo singolo “Burn this Town”/”Battleaxe” (Guardian), che si inserisce sorprendentemente nelle H. M. chart, nonostante i limiti, tecnici e promozionali della realizzazione.

Bisogna attendere la seconda metà dell’83 per l’album d’esordio, “Burn this Town” (M. F. N./Roadrunner): a dispetto di un suono piuttosto artigianale, il disco è un efficace saggio di british heavy rock dalle istiganti trame vocali, che risaltano negli inni “Burn this Town” e “Ready to Deliver”. Personalmente, preferisco però oscure tracce come “Star Maker”, dal notevole feeling emozionale, dove Battleaxe si scagliano contro i fabbricanti di stelle senza scrupoli del R’n’R system, e “Thor-Thunder Angel”, frutto di una buona vena eroica. Il recensore del New Musical Express ha giudicato l’album persino superiore a “Into Glory Ride” dei Manowar  (per me NME non è neppure utile per la pulizia intima, ma questo è un altro discorso…).

Nel febbraio ’84, il tour inglese da supporto ai Saxon — non a caso… — consolida la reputazione dei Battleaxe, e i Crusader devono ben guardarsi da questi sparring-partner! Il riscontro è immediato: all’uscita del secondo LP “Power from the Universe”, 6.000 copie subito vendute nell’Europa continentale, nonostante la scarsa promozione di cui la band è fatta oggetto. Il disco manifesta progressi evidenti soprattutto nel sound, sgrezzato con abile mano dal producer Tony Wilson, ma anche il songwriting tiene il passo, risultando piacevolmente vario e grintoso. Ogni brano della prima facciata esibisce fugaci intro di chitarre (fatti i debiti rapporti, alla Van Halen di “Fair Warning”, cesellati con gusto da Steve Hardy: maestosi ad esempio gli accordi pieni in apertura di “Chopper Attack”, una powerful-track che costituisce il principale punto di forza dell’LP. The best of the best: “Movin’ Metal Rock”, con un trascinante coro vocale che sottolinea la solida timbrica del frontman Dave King, e “Fortune Lady”, una hard rock ballad che non rinuncia all’efficace perno ritmico della coppia Brian Smith (basso) /lan Mc Cormack (percussioni) percussioni. Sulla seconda side si segnalano “Shout It Out”, arrembante come il tipico repertorio degli AC/DC e l’impetuosa title track.

I fan dell’heavy rock semplice e diretto possono ritenersi soddisfatti: Battleaxe is loud’n’proud!  

Beppe Riva

 

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

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