Recensione: Presto

Di Filippo Benedetto - 10 Giugno 2004 - 0:00
Presto
Band: Rush
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1989
Nazione:
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70

“Presto” è un disco particolare. Lo si può definire come il disco meno “coraggioso” della discografia del grande gruppo canadese. Non fraintendetemi, la musica dei Rush è sempre stata perfetta e impeccabile sia nella veste compositiva che in quella tecnico strumentale. Lo si nota a piene mani anche in questo lavoro, datato 1989, soprattutto per quanto riguarda la capacità di creare sinergia tra i vari strumenti. La copertina dell’album, come al solito è molto ben curata, soprattutto dal punto di vista “cromatico”: l’immagine in bianco e nero ritraente una schiera di conigli appollaiati lascia risaltare bene, sopra, la scritta Rush in maniera molto visibile. Ma passiamo alla recensione vera e propria.

Apre il platter l’energica e frizzante “Show don’t tell”, brano dove si distingue per grazia tecnica il buon Peart in perfetta sintonia con il basso di Geddy Lee. Si nota già da questo brano una decisa sterzata verso sonorità differenti, morbide ma efficaci e soprattutto colpisce la qualità del sound complessivo, più “secco” rispetto alle precedenti release. Punto focale del pezzo è proprio la sezione ritmica, quindi, sulla quale si stende il pregevole riffing di Lifeson che costruisce la trama melodica in modo coinvolgente soprattutto nella parte iniziale del pezzo che, per la sua dinamicità ed efficacia, crea un felice contrasto con le parti più morbide. Si prosegue con “Chain Lightning” ed e qui si nota un lavoro più evidente del buon Geddy che, insieme alla chitarra, costruisce la linea melodica di base del pezzo con gusto ed eleganza. Il brano è giocato su un costante alternarsi di parti più vivaci e momenti più rilassati, con la sintesi di queste due “faccie” della song nel bel refrain. Con “The Pass” la band si cimenta in atmosfere riflessive, tratteggiate da un lavoro tecnico strumentale (soprattutto per quanto riguarda il lavoro di basso) che ne risalta l’aspetto fortemente suggestivo. Il refrain funge da “apertura melodica” di grande effetto, assicurando al pezzo la giusta presa sull’ascoltatore. La successiva “War Paint” viene introdotta da un riffing roccioso ma eseguito maestosamente da Lifeson. Anche qui si nota il collaudato lavoro in sede di arrangiamento, studiato per esaltare con eleganza il contrasto tra momenti di più diretto impatto con altri più “armoniosi”. La classe tecnico strumentale, sotto tutti gli aspetti (compreso un bell’assolo), poi, dona al tutto ulteriore pregevolezza. “Scars” è una traccia dove la sezione ritmica basso/batteria (nonché le percussioni) svolgono un lavoro essenziale per la riuscita della song. Il groove catchy del pezzo trova libero sfogo, inoltre, nel frizzante refrain. Forse, però, la sostanziale “monotematicità” del pezzo, che si riduce al refrain stesso (fondamentale per la riuscita del brano stesso), lascia l’ascoltatore in attesa di uno sbocco alternativo che però non giunge mai dando una sensazione di incompiutezza. La sesta traccia, “Presto”, concentra l’attenzione dell’ascoltatore nuovamente su un songwriting in continuo equilibrio tra parti più dinamiche ed efficaci e momenti più “elaborati”, dove tappeto acustico di sottofondo offre lo spunto al riffing per chitarra elettrica per creare trame melodiche maestose e di sicuro effetto. Il rock irrompe in tutta la sua forza persuasiva con la successiva “Superconductor”, grazie ad una scarica di riffs ad opera del buon Lifeson che, coadiuvato dal duo Lee/Peart, costruisce una trama melodica che trova il suo punto di maggiore “presa” sull’ascoltatore nella parte finale, grazie ad un lavoro “in progressione” coinvolgente. “Anagram (for Mongo) è una track impostata su linee melodiche decisamente morbide, dove il combo gioca a creare una sorta di “suspense” prima dell’irrompere dell’armonioso refrain. La nona song, “Red Tide”, viene introdotta da un lavoro tastieristico squillante ed incisivo che poi lascia spazio al lavoro, più in primo piano, del resto degli strumenti. Lo sviluppo del pezzo anche qui privilegia il contrasto tra l’incisività “rock” e l’ “elaborazione” melodica; indiscutibile rimane sempre, però, la classe tecnico strumentale dei tre musicisti canadesi che, ognuno dal proprio ppunto di vista, aggiunge quel “di più” che dona al pezzo la giusta gradevolezza. Il disco sta per volgere a termine e con la penultima song, “Hand over fist”, notiamo un accattivante lavoro chitarristico del buon Lifeson che, sia in sede ritmica che soprattutto solistica, si rivela “attore primo” nella riuscita del brano. Chiude l’album la riflessività di “Avaiable Light”, traccia che viene elegantemente introdotta da un suggestivo tema per pianoforte. Non mancano momenti di più diretto impatto ben mitigati, però, dalla rassicurante melodicità del tema principale.

Per concludere questo “Presto” è un lavoro che anche se in alcuni episodi indulge un po’ ad un rock morbido e rassicurante, mostra in altri episodi nuovamente le straordinarie doti di questo trio. Ovviamente non si tratta di un lavoro paragonabile alle gloriose prove degli anni passati, ma credo comunque che non possa mancare nella personale discografia di ogni amante della buona musica.

Tracklist:
01. Show don’t tell (5:01)
02. Chain lightning (4:33)
03. The pass (4:50)
04. War paint (5:24)
05. Scars (4:07)
06. Presto (5:46)
07. Superconductor (4:47)
08. Anagram (for Mongo) (3:59)
09. Red tide (4:30)
10. Hand over fist (4:10)
11. Available light (5:04)

Line Up:

Geddy Lee – Vocals, Bass and Keyboards
Alex Lifeson – Guitars
Neil Peart – Drums

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