Recensione: Pretty Wild

Di Roberto Forghieri - 15 Febbraio 2014 - 19:26
Pretty Wild
Band: Pretty Wild
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2014
Nazione:
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75

I protagonisti di questa recensione vengono dalla terra di Ibrahimovic nella cui capitale (Malmoe, per i più disattenti) muovono i primi passi musicali.
Dopo un primo 3-track demo per farsi conoscere, si lanciano a promuovere live la loro musica con una serie di concerti sul vecchio e nuovo continente, approdando nel 2008 alla prima fatica discografica intitolata “All The Way”, che vola al numero uno della classifica Billboard svedese e che esaurisce, tutte le copie stampate, in breve tempo.
A seguito di un tour di oltre 100 date la band si rinchiude in studio per il successore di “All The Way” che, per svariati ritardi, riesce a vedere la luce solo ora.

Dopo questa doverosa dose di info sui Pretty Wild, veniamo all’ascolto dei brani che compongono questa opera omonima: ”Are You Ready” è composto con gli tipici stilemi dell’anthem: un pezzo trascinante ed ammiccante, scelto ad aprire questo secondo full length per gli svedesi Pretty Wild, band che si colloca sul percorso già intrapreso dai connazionali The Poodles, Bai Bang e dai norvegesi Wig Wam.
Paiono evidenti le influenze dei Mötley Crüe specialmente per il cantato di Ivan Ivve Höglund ed in genere dell’hair metal anni 80, a cui i PW si ispirano dichiaratamente.

Le prime conferme arrivano con “Get It On” che non sfigurerebbe su un album degli Icon o dei Danger Danger.  
Più vicina alla proposta dei “topacci” di Stephen Percy e Warren DeMartini la successiva “Troubled Water”. La stagione degli slow è poi inaugurata da “All I Want”, pezzo che mantiene comunque un incedere robusto strizzando l’occhio ad un certo Vincent Furnier, in arte Alice Cooper.
“Alive” è di nuovo metallo patinato che serve a mettere in mostra le doti del axeman Axl Ludwig, mentre “Staring At The Sun” è una corsa a perdifiato in perfetto stile eighties: se avete amato Quiet Riot, Keel, Rough Cutt e compagnia non potrete che gongolare.
“High Enough” è il trionfo del ballad-style: voce ispirata, sottofondo di tastiere e ritmica acustica: cosa volere di più…

“Ready To Go” riporta in quota i nostri eroi mettendo in evidenza una solidissima sessione ritmica composta da Kim Chevelle al basso e Johnny Benson dietro le pelli. “Wildheart” è quindi un altro brano pieno di verve che ci riporta ai fasti dei mai troppo incensati Silent Rage di “Young, Wild And Pretty”…niente male, insomma…
“Vampire”  è un classico del genere: intro arpeggiato, voce sussurrante e via di ritmica.
I Pretty Wild hanno ascoltato e riascoltato i vinili anni 80 e qui ritroviamo i cori alla Firehouse e le armonie dei Diving For Pearls.

Una brusca accelerata ce la fornisce “Blow The Night Away” che parte a mille e sfocia in una party song tra le più trascinanti dell’intero dischetto, un must per chi considera “Welcome To The Helter Skelter World” l’album definitivo di questo genere.
Non cala la tensione con “Come Out Tonight” che, aperta la porta della melodia, permette ai Pretty Wild di maramaldeggiare sul terreno dell’easy listening senza fare prigionieri.
“Hold On“ è un altro inno all’airplay che questa volta paga tributo alla più grande band di AOR italica: i Myland di “One Step Closer”.

Il brano di chiusura è omonimo di band ed album e si riaccosta a Mötley, Ratt ed al gotha del glam, con la giusta miscela di funky e rock’n’roll, sigillando un lavoro che seppur uscito in ritardo ha mantenuto le aspettative.

Bravi Pretty Wild!

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