Recensione: Probot

Di Filippo Benedetto - 5 Marzo 2004 - 0:00
Probot
Band: Probot
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
70

Quando seppi della notizia che Dave Grohl (musicista  a suo tempo della scena grunge ricoprendo il ruolo di batterista in una delle formazioni più rappresentative del genere) avrebbe registrato, prodotto e suonato un disco metal non riuscivo a crederci. Quando poco tempo dopo uscì la notizia ancora più stupefacente che a questo progetto, allora ancora senza nome, avrebbero preso parte alcuni grandi nomi del Metal allo stupore si è aggiunta una certa dose di curiosità. La domanda che mi ponevo più insistentemente era: “Come mai un musicista di una scena musicale che è stata per certi versi all’opposto del metal, oggi si cimenta in un progetto che di metal ha molte delle più prestigiose firme del genere?”. Domanda lecita e quasi ovvia, che tuttavia non si decideva mai ad allontanare dalla mia mente dubbi e sospetti sul complesso dell’operazione. Finalmente, una volta preso coraggio, il disco dei “Probot” (questo il nome del metal project di Dave Grohl) sono riuscito ad ascoltarlo.  Dopo un primo ascolto posso, subito, affermare con certezza che questo “Probot” è un disco metal, con alcune particolarità da mettere in evidenza. Innanzitutto il disco è stato registrato in modo da valorizzare per ogni song un certo “sound”, appropriato per ognuno dei partecipanti al progetto. Inoltre ogni song è stata arrangiata in modo da poter essere considerata tranquillamente con parte del repertorio di ogni artista (guest) presente nel disco. Tutto ciò permette di leggere questo disco sotto una duplice ottica(una più benevola, l’altra più maliziosa): da una parte è  un “atto d’amore” del famoso musicista ai suoi beniamini metal,  dall’altra è un modo per dimostrare la versatilità (capacità di riciclarsi?) dell’ex batterista dei Nirvana. Ma vediamo, nel dettaglio, di analizzare il disco provando a mettere da parte l’una e l’altra possibile interpretazione del prodotto.
“Centuries of Sin” fa da apertura al platter. In questa song figura in qualità di cantante e bassista Cronos, frontman degli storici Venom. Il pezzo è violento, efficacemente costruito su riffs molto pesanti che riprendono chiaramente lo stile dello combo metal. Grohl alla batteria si avventura in ritmiche veloci e potenti, segno di una certa capacità di calarsi nel universo musicale (maligno) proprio dei Venom. La successiva “Red War”, con Max Cavallera alla voce e chitarra, rimanda a certe sonorità classiche del Sepu style (forse “Arise”… “Beneath the Remains”?), quindi ad alcuni degli episodi migliori della carriera dei Sepultura. Le ritmiche sono pesanti e nello stesso tempo sostenute da un drumming veloce e martellante, per la verità lasciando nell’ascoltatore solo a riflettere malinconicamente su come sarebbe stata la storia del combo brasiliano con Max ancora in pianta stabile. Non manca di stupire, ancora, la successiva “Shake your blood” con il grandissimo Lemmy al basso e alla voce. Questa song sembra davvero una canzone dei Motorhead, con tutto i cliché del caso (guardate il video da poco in rotazione e per un attimo, anche se breve, vi porrete la domanda”ma, è uscito un nuovo disco dei Motorhead?”). La voce di Lemmy è come al solito ruvida, il lavoro al basso come al solito convincente e perfettamente innestato lungo il potente riffing di base. “Access Babylon”, brano in cui alla voce troviamo Mike Dean, è una sfuriata in pieno stile hard core targato Corrosion of Conformity. Le ritmiche sono veloci e il riffing è sporco e tagliente. La voce squillante  di Dean sovrasta su tutto, trascinando la chitarra solista in una specie di “delirio” a due voci. Si nota in questo caso una particolare “affinità intellettiva” tra il frontman statunitense dei C.O.C. e Dave Grohl (il quale, nel sito ufficiale, non ha mancato di dichiarare esplicitamente il suo amore per l’hardcore punk e la band in questione). Proseguendo con “Silent Spring”, brano in cui figura Kurt Brecht, è il mixing di hardcore e thrash metal in salsa D.R.I. ad imporsi all’orecchio dell’ascoltatore. Qui un intro per basso e batteria precede di poco l’irrompere violento di chitarre ritmiche e voce. La song si svolge lungo tempi più rallentati, dove viene privilegiato un approccio più incentrato sull’impatto sonoro di riffs pesanti. Come accennato in precedenza (riguardo alle matrici d’origine della track in questione), il pezzo si sviluppa lungo l’equilibrio tra lo stile hardcore e la pesantezza del thrash metal ricordando molto chiaramente alcuni episodi del combo americano. La voce di Lee Dorrian (ex Napalm Death, Cathedral) irrompe potente nella seguente “Ice Cold Man”, pezzo nel quale il doom metal alla Cathedral si lascia notare piacevolmente all’ascoltatore. La prima parte prende spunto da certe sonorità Sabbathiane, con ritmiche molto cadenzate e riffs cupi e minacciosi, per poi svilupparsi in modo più personale grazie alla voce di Dorrian che permette all’ascoltatore di fare un balzo in avanti nel tempo facendo assaporare melodie tipiche del Cathedral dound. “The Emerald Law”, settima track del platter, vede in veste di guest Scott “Wino” Weinrich (leader dei “The Obsessed”, band fondata negli anni 70, poi sciolta e di nuovo riformata alla fine degli anni 80). Il pezzo è molto pesante e viene introdotto da una soffusa melodia cupa che in seguito troverà sbocco in un riffing serrato e potente supportato da ritmiche sostenute. La voce di “Wino” è graffiante e coinvolge l’ascoltatore in un’atmosfera “evil” molto suggestiva. Molto ben fatta la ripresa del tema iniziale, nella quale è più accentuato il carattere cupo delle sonorità. In “Big Sky” si avverte chiaramente l’impronta del sound “alla Celtic Frost”, grazie alla presenza in questo brano del suo frontman Tom G. Warrior. Questo brano ripropone fedelmente quel miscuglio di heavy metal classico e sonorità più pesanti e impenetrabili (che saranno, poi, tipiche di un certo death metal) degnamente rappresentato dal combo svizzero. Il riffing, in questa song, è martellante sviluppandosi lungo ritmiche che alternano  tempi “stoppati” ad aperture di più dinamico impatto. Con “Dictatosaurus” Grohl coinvolge nel progetto “Snake” dei Voivod. Questa track, sviluppandosi inizialmente lungo un riffing potente e quasi “ermetico” si sviluppa poi in refrain dalle linee melodiche più accessibili. Il risultato è soddisfacente, facendo rivivere con discreta reverenizlità il sound tipico del famoso combo   (almeno nei suoi episodi meno recenti). La penultima song “My Tortured  Soul”, dove figura Eric Wagner dei Trouble, si snoda lungo linee melodiche molto ben costruite e coinvolgenti. Per chi non conosce i Trouble (band fondata verso la fine dei seventies) questo brano può aiutare a ravvisarne l’importanza e il valore, grazie al riffing a meta strada tra l’heavy classico e tematiche doom di matrice sabbathiana. Chiude l’album la suggestiva e sognante “Sweet Dreams”, dove s’impone la voce di King Diamond. Questo pezzo, giocato su tempi medi, è particolarmente impreziosito, appunto, dalla voce di King Diamond che guida la track lungo atmosfere cupe e maestose, coadiuvato da un buon lavoro della chitarra solista.

Concludendo questo disco può essere considerato una “dichiarazione d’amore” molto personale di Grohl verso i suoi artisti e bands metal. Dimostrazione evidente ne è la cura e la perizia negli arrangiamenti, scrupolosamente studiati per non snaturare il sound delle bands-riferimento prese in considerazione. Il risultato è abbastanza soddisfacente e, soprattutto per chi volesse avvicinarsi al metal per la prima volta, forse potrebbe essere di una qualche utilità.

Tracklist:

1. Centuries Of Sin (W/Cronos)
2. Red War (W/Max Cavalera)
3. Shake Your Blood (W/Lemmy)
4. Access Babylon (W/Mike Dean)
5. Silent Spring (W/Kurt Brecht)
6. Ice Cold Man (W/Lee Dorrian)
7. The Emerald Law (W/Wino)
8. Big Sky (W/Tom G. Warrior)
9. Dictatosaurus (W/Snake)
10. My Tortured Soul (W/Eric Wagner)
11. Sweet Dreams (W/King Diamond)

Ultimi album di Probot

Band: Probot
Genere:
Anno: 2004
70