Recensione: Pyromania

Di Vampi - 20 Marzo 2003 - 0:00
Pyromania
Band: Def Leppard
Etichetta:
Genere:
Anno: 1983
Nazione:
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90

E’ questo il terzo album in studio della nota band di Sheffield, sicuramente tra le più rappresentative della cosiddetta New Wave of British Heavy Metal. Registrato nel 1983, vede l’ingresso in line-up del chitarrista Phil Collen, proveniente dalla band Girl. Phil sostituisce Pete Willis (allontanato dal gruppo, sue sono diverse tracce di chitarra presenti sull’album) e affianca Steve Clark alla chitarra, Rick Savage al basso, Rick Allen alla batteria e Joe Elliott alla voce.
Ho sempre ritenuto Pyromania il disco migliore di questi ragazzi Inglesi,il giusto punto d’incontro tra l’immediatezza e freschezza del precedente High’n’Dry e la ricchezza compositiva a sonora del successivo Hysteria. Qui si può ascoltare quello che è il trademark della band: una voce roca e acuta abbinata a chitarre graffianti e precise; un azzeccato compromesso tra melodia e aggressività, accompagnato costantemente o quasi da una grande ispirazione e da un songwriting di prim’ordine.
Analizziamo insieme questo lavoro traccia per traccia.

Rock Rock (Till You Drop)
Il pezzo che apre le danze è una vera e propria dichiarazione d’intenti: intenti decisamente bellicosi. Un riff tagliente introduce quello che è forse il pezzo più essenziale e meno melodico dell’album. Il bridge è devastante, a tratti sempra quasi di ascoltare i power chords del grande Pete Townsend degli Who. L’assolo è caratterizzato dai tipici armonici “fischianti” di Phil. Un pezzo diretto e conciso, una sferzata di fresca energia.

Photograph
Uno dei capolavori dell’album e uno dei pezzi più caratterizzati dal tipico Def Leppard style: le due chitarre che nella strofa suonano come in una sorta di Ac/Dc più puliti e raffinati, un pre-chorus che introduce ad un vero e proprio squarcio melodico con cambio di tonalità e i bellissimi cori di Joe. Guitar solo non trascendentale ma di gusto. Se volete i virtuosismi… beh, cercateli altrove… i valori qui sono altri. La song si chiude con un bellissimo stoppato di chitarra che sfocia in un fading out impreziosito ancora dalla struggente voce di Joe.

Stagefright
Altro pezzo potente e diretto: non per niente è stato a lungo il pezzo di apertura degli show di questa band. Si apre con una falsa ambientazione live e Joe che urla “I said welcome to my show!!”. La sua voce è acutissima e letteralmente graffia, anche qui il chorus è una inaspettata cascata di melodia. Secondo la leggenda il solo di chitarra è la prima cosa che Phil abbia fatto nei Def Leppard… pare che dopo averlo ascoltato gli altri membri abbiano esclamato: “ok Phil, you’re in!”. Bellissimo in ogni caso.

Too Late For Love
Forse uno dei pezzi più deboli… del resto tenete presente che il livello medio dell’album è altissimo. La strofa consiste in un arpeggio di chitarra distorta su cui Joe cuce i suoi vocals rochi e accorati. La song in sè è abbastanza monotona, il chorus non riesce a svincolarsi dalla strofa dando una impressione di complessiva immobilità. Il giudizio finale viene salvato dal bellissimo bridge strumentale che precede l’ultimo chorus: potente, deciso, di nuovo mi sembra di ascoltare certe cose degli Who. La dimostrazione di come due chitarristi di gusto come Phil e Steve possano emozionare anche senza essere dei virtuosi.

Die Hard the Hunter
Tocca ora al pezzo più complesso dell’album. La song è decisamente una presa di posizione contro la guerra e viene pertanto appropriatamente introdotta da samples di tema bellico, che ora fanno sorridere ma all’epoca erano considerati lo stato dell’arte in fatto di effetti sonori campionati.Un pacato arpeggio introduce uno dei riff tanto caratteristici della band. Di nuovo l’essenzialità e la grinta emergono prepotenti. Pre-chorus e chorus non si discostano da quanto detto. Ma il vero pezzo forte della song è la lunga parte centrale, interamente strumentale: i due chitarristi si scatenano su melodie coinvolgenti e tutt’altro che scontate. Il medesimo riff del chorus chiude con decisione il pezzo.

Foolin’
A mio giudizio il secondo capolavoro dell’album, dopo Photograph. La song si apre con un arpeggio malinconico sul quale Joe accarezza l’acoltatore con l’emotività della sua voce; si passa ad un bridge molto corale, un pre-chorus melodico e un chorus aggressivo come non mai: bellissima l’armonizzazione del coro: “‘Cos baby I’m not f-f-f-foolin’!!”. L’assolo è semplicemente splendido, introdotto da un duetto voce-chitarra. Un pezzo storico e indimenticabile, siamo ai massimi livelli qualitativi della band.

Rock of Ages
Uno dei classici dei Leps, tipicamente utilizzato per i bis. Le quattro incomprensibili (e prive di significato) parole pronunciate da Joe in apertura introducono ad una strofa atipica, con vocals (passatemi l’iperbole) quasi rap su una base di basso sintetico… provate a non dimenarvi se ci riuscite… il chorus, introdotto da un acuto lancinante di Joe è cadenzato e maestoso, una volta di più i cori la fanno da padrone… la sfrigolante chitarra di Phil ci regala l’ennesimo assolo di grande gusto e la song si conclude un po’ come è iniziata, con una risatina sardonica. Un pezzo splendido.

Comin’ Under Fire
Altra grande song. Uno dei riff più coinvolgenti che abbia mai sentito, pesante e trascinante. La strofa, insolitamente pacata, conduce all’ennesimo ritornello corale e struggente nella sua melodia malinconica. Nessun’altro potrebbe cantare questa musica; la voce di Joe riesce ad essere aggressiva e dolce al tempo stesso: un matrimonio azzeccatissimo con il sound dei due axeman. Il brano si conclude con un outro sulla linea del chorus ma con armonizzazioni vocali differenti e una volta di più azzeccate e trascinanti. Unico difetto di questo pezzo quello di non essere poi così diverso da altri presenti sull’album.

Action! Not Words
A mio pare l’episodio meno azzeccato di questo lavoro. Un riff di slide guitar introduce una strofa nella quale l’assonanza con alcune cose degli Ac/Dc risulta addirittura fastidiosa. Anche il ritornello segue questa logica. Sicuramente un pezzo poco ispirato, si ha quasi l’impressione che sia stato inserito per fare numero. Salvabili il bridge strumentale e l’assolo, in ogni caso c’è di molto meglio.

Billy’s got a gun
Le sorti per fortuna si risollevano in chiusura con questo pezzo, il secondo in lunghezza e complessità, dopo Die Hard the Hunter. Una bellissima strofa con Joe cha canta in tonalità insolitamente bassa e dialoga con le due chitarre, ispiratissime in questo frangente, ci porta una volta di più ad un bellissimo chorus. Devo ripetermi, le melodie dei cori sono celestiali, preziose. Lo stesso vale per il bellissimo bridge cantato, che introduce un primo, semplice solo. Altra strofa, altro chorus e nuovo solo, questo molto più articolato e vario, pur restando anni luce distante da una qualsivoglia forma di virtuosismo. A mio parere una song che risulta una degna chiusura di un grande album.

Da qui in poi succederanno molte cose, il batterista Rick Allen perderà un braccio in un incidente del tour bus costringendo la band ad aspettarlo per 4 anni, durante i quali verrà allestita una speciale batteria con pedaliera per permettergli di continuare a suonare. Tra l’uscita dell’eccellente Hysteria e quella del successivo e buon Adrenalize perderà la vita Steve Clark, compositore principale, dedito da tempo all’abuso di alcolici, colpito da depressione e stroncato da una infernale mistura di farmaci, droghe e alcool. Il colpo sarà durissimo: da questo momento in poi, nonostante l’inserimento dell’eccellente Vivian Campbell, l’ispirazione della band svanirà relgandola ad un posto marginale nel filone rock/AOR. Ciononostante, a mio parere, questo disco resta uno dei più alti esempi di hard rock ottantiano, lo consiglio a tutti quelli che vogliono ricordare un’epoca e conferire il giusto merito ad una band che è stata grande.

Tracklist:
Rock Rock (Till You Drop) (3:52)
Photograph (4:12)
Stagefright (3:46)
Too Late For Love (4:30)
Die Hard the Hunter (6:17)
Foolin’ (4:32)
Rock of Ages (4:09)
Comin’ Under Fire (4:20)
Action! Not Words (3:52)
Billy’s got a gun (5:27)

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