Recensione: Queen Of Light

Di Alessandro Calvi - 27 Giugno 2007 - 0:00
Queen Of Light
Band: Imperia
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2007
Nazione:
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55

A un paio d’anni dall’esordio solista, torna Helena Iren Michaelsen con il secondo album dei suoi Imperia intitolato “Queen of Light”. Abbandonate le tematiche egizie del primo disco, cambiata etichetta e qualche elemento del gruppo, che comunque continua a offrire una line-up di tutto rispetto con musicisti presi a prestito da diverse band di primo piano, gli Imperia sfornano un nuovo platter che punta sempre dichiaratamente sulla voce della Michaelsen per ottenere consensi.

Si comincia con “Mirror”, brano orecchiabile e di un certo pregio che si lascia ascoltare piuttosto piacevolmente, risultando nel complesso piuttosto classico e forse anche un po’ scontato. Il songwriting è sempre buono, e non potrebbe essere da meno vista l’esperienza dei musicisti, così come le orchestrazioni e gli arrangiamenti, piacevoli e di un certo gusto i passaggi di pianoforte. In generale però il brano non è nulla di rivoluzionario e non rimane in mente più di tanto. Degno di nota comunque il tentativo, riuscito, della Michaelsen di variare il suo stile di cantato, presentando svariati timbri da quello lirico, a quello dolce, a uno più propriamente gothic, a quello aggressivo e quasi roco.
La seconda “Fly Like the Wind” ricorda in molti punti il precedente “The Ancient Dance of Qetesh” grazie a “suoni egizi”, melodie molto epiche e condite di bassi e orchestrazioni pompose, come il duo “The Birth of…” e “The Queen of Light” (anche se in realtà, un po’ tutta la coda dell’album sembra composta di song che probabilmente inizialmente eran destinate al disco precedente). Presenta però anche un curioso e interessante coro cacofonico, composto da varie voci più o meno sgraziate che seguono linee vocali diverse, che ritornerà in alcune delle canzoni dell’album.
Brevissimo inizio sinfonico per “Raped by the Devil” che poi lascia spazio a un riff aggressivo e alla voce, in questo caso più graffiante e sporca, anche grazie a un moderato uso del filtraggio elettronico. Il ritornello si assesta poi su ritmi piuttosto cadenzati.
Dolce, delicata, sinfonica, con ampio spazio alla voce, è invece “Broken Wings”, canzone dal sapore molto più classico, quasi al livello di ballad, delle precedenti. Chitarre, basso e batteria mantengono un basso profilo per uscire solo verso il finale, son invece le tastiere a farla da padrone ed ad essere sempre in primo piano.
Epica e potente l’apertura di “Braveheart”, a cui si contrappone poco dopo un passaggio delicato per voce sola. Il brano sembra vivere di questo continuo contrasto, alternando momenti più veloci e potenti, ad altri più lenti, delicati e dolci. Pregevole, a metà della canzone, il tentativo lirico di Melena, ma la sensazione è che in alcuni frangenti abbia preteso un po’ troppo dalla sua voce.
Questi continui riferimenti alla voce, al suo modo di esprimersi, lasciando piuttosto in secondo piano le prove degli altri strumenti, non è casuale. Tutto il disco vive solo ed esclusivamente come strada per la voce per tentare di esprimersi al meglio e dimostrare il suo valore sui terreni più diversi. Questo ovviamente spesso a discapito del resto dell’album. Non si può, a mio avviso, infatti, puntare tutto solo ed esclusivamente su uno degli elementi, una canzone dovrebbe essere un perfetto amalgama di tutti gli strumenti con la voce e gli uni non possono essere sottomessi agli altri, ma devono rimanere sullo stesso piano. Quando però questa disparità di trattamento si ripete per 13 canzoni di fila, l’unica cosa che riesce a tenere a galla il platter è la bravura dei musicisti, che in questo caso non son assolutamente di secondo piano. Il songwriting e le capacità compositive ci sono, e lo dimostrano canzoni come l’ottava “Abyssum”, forse il punto più alto della tracklist, canzone epica, sinfonica, potente e melodica al contempo. Ma il fatto di essere “asservite” a una causa più alta (la voce della Michaelsen), mina il risultato ultimo dell’operazione, impedendo a “Queen of Light” di aspirare al titolo di capolavoro.

Dal punto di vista della produzione, naturalmente ci troviamo di fronte a un prodotto ben confezionato senza imperfezioni macroscopiche, che però, a differenza del predecessore, punta meno sulla valorizzazione dei bassi, risultando quindi con un taglio meno epico e potente. In generale gli strumenti son comunque tutti ben valorizzati e l’ascolto non è per nulla penalizzato dalle scelte di produzione.

Per concludere, il secondo disco degli Imperia si mantiene sugli stessi standard dell’esordio senza pecche, ma al contempo senza far gridare al miracolo, aggiudicandosi quindi, a discapito dei nomi coinvolti e in particolare della cantante, tanto osannata nel panorama gothic, un posto nell’ampia schiera dei dischi meramente sufficienti.

Tracklist:
01 Mirror
02 Fly Like the Wind
03 Raped by the Devil
04 Broken Wings
05 Braveheart
06 Facing Reality
07 Norway
08 Abyssum
09 The Birth of…
10 Queen of Light
11 Fata Morgana
12 The Calling
13 Missing You

Alex “Engash-Krul” Calvi

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