Recensione: Racing

Di Riccardo Angelini - 7 Gennaio 2006 - 0:00
Racing
Band: Loudness
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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66

C’è qualcosa che contraddistingue nettamente questa nuova uscita dei Loudness dal frutto di una delle tante reunion apparse di recente sugli scaffali dei negozi: i signori del metallo del Sol Levante, contrariamente a molte vecchie glorie dell’occidente, non hanno mai posato le armi. E’ tuttavia anche vero che, a ventitre anni e venti LP di distanza da quel The Birthday Eve che dava il primo impulso vitale al movimento hard ‘n’ heavy giapponese, molto è cambiato in casa Loudness. Chi arrivasse a Racing direttamente da un Thunder in the East e degli anni ottanta, saltando i molteplici rivolgimenti occorsi nel decennio successivo, potrebbe rimanere disorientato dalla netta virata stilistica imposta da Akira Takasaki alla sua leggendaria creazione. A partire da Ghetto Machine, passando per Dragon e Pandemonium, l’heavy metal tradizionale e ortodosso delle origini ha subito rivolgimenti sempre più pesanti (in molti sensi), fino a essere ormai del tutto soppiantato da un sound moderno, potente e aggressivo, imbastardito e reso più feroce da massicce influenze thrash, con un tocco industriale che ne complicherà senza dubbio la digestione da parte dei puristi.

Sarebbe dunque un errore leggere il presente con la pretesa di mantenere intatti i vincoli stilistici col passato, ma è legittima l’aspettativa di chi vorrebbe preservare almeno quelli qualitativi. Così, superato lo sconcerto iniziale, si tratta di valutare il potenziale insito nel nuovo corso della band. I trenta secondi introduttivi dell’iniziale title track sono un’implacabile dichiarazione di guerra: Akira scalda i motori e le chitarre ruggiscono, in attesa che il semaforo verde dia inizio alle corse.
E dalla sconvolgente Exultation alla trascinante Unknown Civilians sarà un’unica inarrestabile cavalcata, con il tempo appena di radunare tra una traccia e l’altra le forze per sostenere la successiva ondata metallica. E’ subito evidente lo sforzo di Niihara di violentare la propria voce fino a farle raggiungere quelle tonalità graffianti e un po’ stridule che meglio si adattano al sound degli strumenti, tanto che molti dei fan di vecchia data stenteranno a riconoscerlo. E la prova, per quanto atipica, alla fine dei giochi riesce a strappare consensi, sebbene non pochi saranno coloro che rimpiangeranno l’espressività dei primi lavori. Solo Crazy Samurai risente, nei passaggi mediani, di linee vocali un po’ forzate e inefficaci, per il resto, per esempio nella non esaltante Power Generation, i problemi vengono fondamentalmente da alcuni campionamenti inadeguati, mentre il buon Minuru se ne esce con una prova tagliente e coraggiosa.
Il vero protagonista rimane comunque l’incrollabile Akira, supportato da una sezione ritmica autorevole e dinamica, che accanto ad assoli di spessore tecnico sempre notevole sfodera un riffing sempre incisivo, spietato, devastante. Riuscirete a sostenere l’assalto sonoro chiamato Lunatic? E’ qui, o in brani come la programmatica Speed Maniacs o l’incontenibile R.I.P., che il germe thrash impianta il suo seme esplosivo, avvelenando la melodia ma esaltando la potenza. Un altro esempio? Prendete qualche soluzione armonica dai successi del passato, caricatele di polvere da sparo e fatela saltare in aria: avrete la formula dell’energia sprigionata da Live for the Moment. Ma è forse Tomorrow Is Not Promised ad aggiudicarsi il titolo di pezzo più sorprendente del lotto, grazie a un refrain irresistibile ed esaltante che riscatta in pieno una strofa ignorante che lasciata a se stessa avrebbe affossato qualunque brano: brani così si odiano o si amano, senza mezzi termini.

Va poi aggiunto che l’edizione limitata di Racing, quella di cui ci occupiamo in questa sede, presenta una chicca insolita e per molti aspetti controversa: il cd Rockshocks, un peculiare “best of” che ripropone classici del calibro di Like Hell o In the Mirror, oltre naturalmente all’arcinota Crazy Nights, come a significare che i Loudness sanno chi sono, ma non si sono dimenticati chi erano. Dove sta la peculiarità? Semplice: i brani sono suonati nel nuovo stile della band. Inutile perdere tempo a stabilire quale versione sia migliore dell’altra, soprattutto quando chi è chiamato a decidere si sente emotivamente legato all’opera nella sua forma primigenia. Quel che certo è che un’approccio del genere incuriosirà alcuni e farà inorridire altri. Ma i Loudness di oggi sono fatti così, prendere o lasciare.

Non avete idea di quanti ascolti sono stati necessari a un fan dei vecchi Loudness quale è il sottoscritto per accettare il loro rivolgimento moderno. Ma la perseveranza è stata infine ampiamente ripagata dalle molte soddisfazioni. Una manciata di assaggi superficiali può essere fatale, così come controproducente sarà criticare per partito preso la diversità da quanto era lecito attendersi. Concedetevi invece tutto il tempo necessario per squartare l’album, fare a pezzi il suono, assaporare uno a uno i riff, degustare le ritmiche, digerire le melodie sepolte sotto una coltre di polvere da sparo. Allora, solo allora, decidete.
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Tracklist:
1. Racing
2. Exultation
3. Lunatic
4. Believe It Or Not
5. Power Generation
6. Speed Maniac
7. Live For The Moment
8. Crazy Samurai (album Version)
9. Telomerase
10. Tomorrow Is Not Promised
11. Misleading Man
12. R.i.p. (album Version)
13. Don’t Know Nothing
14. Unknown Civilians

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