Recensione: Radio Voltaire

Di Roberto Gelmi - 22 Marzo 2018 - 10:00
Radio Voltaire
Band: Kino
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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75

C’era una volta un’etichetta discografica che allietava gli ascoltatori di prog. rock con originali e curiose uscite una tantum… Questa label non è defunta, anzi sopravvive più forte che mai, quale costola nobile della Sony Records e da poco ha visto l’ingresso dei mostri sacri Dream Theater nel suo già prestigioso roaster. È dunque merito dell’InsideOut Music se oggi possiamo stringer tra le mani una copia del secondo studio album targato Kino, creatura nata dalla mente iperattiva del musicista John Mitchell (It Bites, Arena, Frost, Kino, The Urbane, Lonely Robot), per certi versi risposta inglese al genio Neal Morse.
Invece di registrare il terzo capitolo con i Lonely Robot, il mastermind ha pensato,  su consiglio dell’IO, di riportare in vita il progetto Kino, supergruppo umbratile di cui tutti ricordiamo la copertina del debutto, Picture, con in primo piano un contenitore di popcorn, ai piedi d’una poltrona in un cinema.Per la nuova ora di musica prog. Mitchell rilancia il sodalizio con il bassista dei Marillion e dei Transatlantic, Pete Trewavas, cui si aggiunge il drummer Craig Blundell (Frost): quest’ultimo aveva già suonato su Picture, lasciando però la band poco prima della release del disco, così fu sostituito da Chris Maitland (ex-Porcupine Tree).

Radio Voltaire non è un concpet album, anzi la  band sottolinea che il processo creativo è stato poco influenzato dalle aspettative del pubblico, permettendo una maggiore libertà compositiva: “The burden of expectation was lifted and that was a massive relief. We could be true to ourselves and what we believed was right for the music.”La scelta dell’artwork a cura di Paul Tippett (sua anche la copertina dell’ultimo disco dei Galahad), si collega al titolo del platter, nato da un’improbabile idea di Mitchell, il quale, ammirando il famoso filosofo illuminista, ha immaginato l’esistenza di un’emittente radiofonica libera di dire quanto la politica odierna sia becera e scadente. Il riferimento alla band new wave Cabinet Voltaire arriva solo in seconda battuta. Certo, vedere dei teschi collegati ai Kino è spiazzante vista la solarità della musica proposta, però l’effetto sorpresa rende oggettivamente accattivante l’uscita discografica in questione.

La title-track è un buon biglietto da visita, con tanta positività, ricerca melodica e qualche arrangiamento ammiccante accostato a parti di chitarra con la giusta verve. Niente male come inizio… Anche il secondo pezzo non sfigura: “The Dead Club” (ecco che torna l’artwork) presenta sonorità e sintetizzatori cari ai Frost e alcune dissonanze originali e insinuanti. La ballad “Idlewild” è un refrigerio dalle linee vocali fatate, unico difetto la durata, siamo attorno ai sei minuti complessivi. C’è il giusto eclettismo ed equilibrio di atmosfere in Radio Voltaire, così dopo un brano dall’alto tasso emotivo, è la volta della sbarazzina “I Don’t Know Why”, con seconde voci vicine agli Spock’s Beard e ai Transatlantic (ma anche una strizzata d’occhio ai Queen): momenti lisergici e buon rock scanzonato, l’ideale colonna sonora per l’estate veniente. Arrivati a metà platter, le sensazioni sono più che positive. “I Won’t Break So Easily Any More” e “Temple Tudor” sono canzoni che continuano una scaletta senza passi falsi: ottimo drumwork di Blundell nella prima, attimi semiacustici nella seconda. “Out Of Time” sembra non spiccare mai il volo, ma al quinto minuto ci pensa un ottimo assolo vellutato di Trewavas per lasciare il segno; breve ma intenso intermezzo voce-pianoforte “Warmth Of The Sun” introduce “Grey Shapes On Concrete Fields”, pezzo tirato nel ritornello, di nuovo con parti di batteria trascinanti. Gli ultimi dieci minuti dell’album non aggiungono molto: la cadenzata “Keep The Faith” è un mid-tempo senza infamia e senza lode, mentre “The Silent Fighter Pilot” (brano preferito da Mitchell in tracklist) presenta una prima parte in pianissimo e una seconda più abrasiva per concludere fastosamente il platter.

Come in una lanx satura c’è di che saziare la propria fame prog. in Radio Voltaire: il sound dei Kino è rimasto quello onirico e a tratti pop del debutto, con rimandi ai primi Marillion e alle altre band nelle quali militano i mastermind del progetto. Riconosciamo l’incredibile prolificità di John Mitchell e accogliamo l’uscita come un regalo della label tedesca, consci del fatto che difficilmente si potrà vedere questa line-up in tour. Mai dire mai comunque…

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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