Recensione: Raging Death

Di Daniele D'Adamo - 15 Maggio 2013 - 21:15
Raging Death
Band: Entrails
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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76

 

Esistono band che, per un motivo o per l’altro, perdono per un niente il treno del successo per cadere nel dimenticatoio. È il caso degli svedesi Entrails che, formatisi nel 1990 in quel di Linneryd (piccolo villagio nel Sud della Svezia), non sono riusciti ad aggregarsi a quella formidabile progenie i cui capostipiti sono entrati a far parte della Storia del death metal come i Dismember, gli Entombed e i Grave. Così, nel 1998, il fondatore Jimmy Lundqvist decide di abbandonare la battaglia, non essendo riuscito a lasciare il segno dando alle stampe alcunché d’importante.  

Una trama simile a tante, troppe altre, purtroppo; sennonché, nel 2008, inaspettatamente, gli Entrails risorgono per mano dello stesso Lundqvist. Quasi per recuperare il tempo perduto fuoriescono dal cilindro in rapida successione due demo (“Reborn”, 2009; “Human Decay”, 2009), uno split con gli Ominous Crucifix nel 2011 e ben tre full-length (“Tales From The Morgue”, 2010; “The Tomb Awaits”, 2011; “Raging Death”, 2013) di cui l’ultimo in ordine di tempo, appunto, è “Raging Death”, in questi giorni in uscita per la major tedesco/americana Metal Blade Records.         

Fatta questa debita premessa, pertanto, non è certo complicato risalire allo stile del combo nordeuropeo: death metal puro al 100%, distillato dall’alambicco del tempo. Attenzione, però: non si tratta di old school, cioè di un’operazione vintage compiuta da giovani musicisti in cerca delle emozioni di una volta. Si tratta, invece, di una ‘semplice’ messa in opera dello ‘swedish death metal sound’ così come mamma l’ha fatto; ‘semplice’ poiché i Nostri, in quegli anni, erano impegnati in prima persona a confrontarsi con David Blomqvist e compagnia cantante.    

Di conseguenza è lecito aspettarsi che non ci siano particolari novità, in “Raging Death”. E, infatti, così è. Del resto le caratteristiche principali del death metal sono consolidate dall’esperienza ultraventennale di migliaia di gruppi sparsi in tutto il Mondo, per cui l’intervallo fra “In Pieces” e “The Cemetery Horrors” non è palestra né per sperimentazioni, né per contaminazioni extra-death. Il growling più stentoreo che rabbioso di Svensson fa da filo conduttore per un sound mai esasperato, mai eccessivo in tutte le sue parti. Il ritmo, conseguentemente, possiede quella gustosa sensazione di morboso trascinamento, regalato da un drumming incentrato su sequenze di quattro tempi mai sconfinanti nella follia dei blast-beats. Ritmo reso caldo e corposo dal rombare del basso dello stesso Svensson, la cui scuola heavy metal è quella giusta per il genere. Così com’è perfetta l’accoppiata Jimmy Lundqvist/Mathias Nilsson, capace di generare tonnellate di riff marci e assassini.

Da tale analisi ne discende che è difficile anzi impossibile trovare delle pecche nel marchio di fabbrica degli Entrails. Anche a usare la lente d’ingrandimento. Si tratta di un’etichetta davvero timbrata a fuoco, assolutamente immutabile nei contorni al trascorrere delle canzoni; identificativa di un ensemble dotato di grande mestiere e altrettanta chiarezza in merito agli obiettivi da raggiungere. È l’insieme dei pezzi a non essere allo stesso livello, come esplosività di scrittura, di quelli composti nel tempo dagli act citati all’inizio. Forse, più probabilmente, si tratta del fatto di essere arrivati per secondi. In “Headless Dawn” e “The Cemetery Horrors”, ove cioè sono presenti degli inserimenti melodici, si sente tutta la potenzialità in mano a Lundqvist e soci che, però, non si riescono a esprimere con la dovuta continuità lungo tutta la durata del platter.   

Malgrado ciò, “Raging Death” è e resta un più che discreto archetipo di death metal, trasportato nel presente e rivitalizzato con le odierne tecnologie d’incisione. Imperdibile per gli appassionati della cristallinità del genere, merita comunque attenzione anche da parte dei più polivalenti fan del metal estremo. Gli Entrails, per la loro fiera abnegazione e fedeltà alla linea, lo meritano.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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