Recensione: Reason

Di Paolo Beretta - 23 Maggio 2005 - 0:00
Reason
Band: Shaaman
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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81

“Ho sempre voluto portare avanti quel (cfr. Holy Land) discorso e svilupparlo ulteriormente, anche perché considero H.L. il miglior disco che abbiamo registrato con gli Angra […]. Il mio scopo è esplorare nuovi territori e ho portato questo spirito negli Shaman”. (A. Matos, Metal Hammer, Agosto 2002, Italia, pp. 48.)

André Matos avrebbe quindi lasciato gli Angra dopo Fireworks per proseguire la strada tracciata in Holy Land, per innovare, per dare libero sfogo alla sua immaginazione e creatività musicale. Ritual, nelle sue buone melodie,  non aggiunse nulla a quanto già “detto” dagli Angra. Reason da questo punto di vista è ancora peggio. Ritengo infatti che un cantato a tratti sporco e canzoni di 4/5 minuti che non arrivano nemmeno alla metà della durata di Carolina IV (emblema di H.L), non testimonino la volontà di esplorare nuovi lidi musicali. Al contrario mi sembrano confermare la ferma decisione della band di camminare su una colata di cemento sonora che si avvicina più all’Heavy che alla musica a 360° (Power, Prog, Rock, Folk, Orchestrale ecc…) di Holy Land.

La copertina autunnale, caratterizzata dall’uso di colori estremamente freddi, vede una figura misteriosa camminare tra dei binari diretti verso un muro di nebbia. Una cover che trasmette malinconia e fotografa abbastanza bene la musica del cd nel complesso melodica, a tratti potente, ma quasi mai allegra ed eccessiva per le sonorità profuse. I numerosi mid tempo trascinati da riff pesanti ed i 2 lenti caratterizzati dalle noti del piano sono l’emblema di Reason. Tutte le canzoni hanno una struttura estremamente semplice facendomi ritenere che la vostra prima impressione del suddetto cd difficilmente muterà, in un verso o nell’altro, con l’aumento dei passaggi nel lettore. La prestazione di Matos la giudico ottima. Il tentativo azzardato di rendere la sua voce più dura nell’opener e nei pezzi più pesanti del platter mi è piaciuto (cosa che mai avrei creduto a priori). André, ancora una volta, dimostra quello che per me è sempre stata una convinzione profonda e radicata: non è proprio capace di cantare male. Produzione estremamente curata griffata da un maestro come Sascha Paeth che negli ultimi anni ha preso il monopolio di gran parte delle uscite più importanti del power metal. Sezione ritmica essenziale ma penetrante al pari del riffing pieno di Hugo Mariutti. Testi curati e profondi che è un reale piacere tradurre (a differenza di quelli più prettamente power) e, solo successivamente, cantare assieme a Matos. Le tastiere rimangono ancora un elemento forte della band, le pause sinfoniche sono presenti in quasi tutti i brani ma, per quanto queste siano riuscite, denotano una struttura complessiva delle song poco originale. Il disco inizia con un poker di canzoni dal grande potenziale per poi perdere smalto nella parte centrale prima di riacquisirlo nel finale. In due parole un buon lavoro sicuramente che, tuttavia, non si avvicina nemmeno alla definizione di capolavoro.

Si comincia in maniera decisamente atipica. No Paolo, non è vero! Perché nascondersi in banali eufemismi? Turn Away non è solo un inizio atipico. Riprendendo la frase iniziale quest’opener è un calcio nei denti che spacca di netto gli incisivi a Holy Land. Riff pesante (al limite con il Thrash) circonda l’ascoltatore ovunque per un Heavy Metal senza compromessi. Tempi sostenuti, ma non eccessivi, voce bassa e penetrante in simbiosi con le tastiere oscure. Le strofe sono pura estasi metallica che sfociano in un chorus elegante privo di melodie barocche. Nemmeno la pausa sinfonica che di fatto spezza la Hit non stravolge il sound in quanto è solo un breve, e riuscito, caricamento per il secondo solo ed il finale deciso e grezzo. La Title Track è invece un mid tempo molto blando il cui grigiore raggiunge l’apice nel refrain sottolineato da un bel riff. Matos gioca con la sua ugola ostentando pulizia e linee vocali più sporche. In successione, (in una posizione decisamente anomala per una cover), giunge More dei Sister Of Mercy. Una song dal grande impatto caratterizzata dalla contrapposizione tra Keyboards/Riff. Ora prevale un elemento, ora  l’altro, prima della coesistenza nel finale in crescendo. Nella ballad Innocence Andrè dimostra di non essersi dimenticato come si faccia ad accarezzare le nostre orecchie. Mi sto riferendo, in particolare, alla prima ripetizione del chorus “I Hear a Sound, A Thousand Voices / I Lost My Innocence…”: un sensuale sussurro magico e fragile che, sono certo, regalerà brividi dietro la schiena ad ognuno di voi. Il brano, elementare per struttura e con mille ripetizioni del chorus, è il tripudio della voce di Matos che segue come un ombra le orchestrazioni aumentando in potenza quando queste crescono. Forse esagero ma Innocence mi trasmette le stesse emozioni di Reaching Horizon. Come detto in precedenza dopo questo poker di ottime canzoni il cd perde, come normale che sia, in brillantezza con 3 mid tempo carini ma abbastanza simili. Cito solo l’ultimo (Rough Stone) il quale alterna elementi etnici e sperimentali ad un Heavy metal concreto in una continua altalena sonora. Con Iron Soul arrivano invece melodie più marcate: il ritmo dettato da Luis/Ricardo è finalmente incalzante. Il riff iniziale di Trail Of Tears ricorda molto Nothing To Say ma, fortunatamente, segue ben presto un solo che tarpa sul nascere l’imbarazzo di un autoplagio. Grande estensione vocale di Matos per il pezzo più power del disco, nonché l’unica traccia di Reason priva di una pausa sinfonica. A Born To Be l’onore di chiudere Reason. Il “cuore” della track è un tappeto sonoro scandito dalle note del piano che, dopo una parte centrale più decisa, vengono riprese per un finale di due minuti leggero e fragile in sfumando. 

Un cd Heavy Metal con influenze power e non il contrario. Raffinato, melodico, potente e orchestrale Reason è quasi sconcertante nella sua semplicità se rapportato al passato. Se, come si evince dall’intervista del 2002 di inizio rece, gli Shaaman avrebbero dovuto essere il proseguimento degli Angra sperimentali i 4 paulisti hanno miseramente fallito perché, già al loro secondo album, stanno virando verso un sound maggiormente consolidato e poco originale. Holy Land è dall’altra parte! Una volta appurato ciò credo sia giusto giudicare Reason per quello che è: un lavoro impeccabile nella forma, buono nel contenuto e valido nel complesso con pochi filler. Sebbene non sia un disco particolarmente originale lo trovo curatissimo nei particolari ed altamente spendibile essendo rivolto ad un mercato ben più ampio rispetto a quello dei soli, seppur numerosi, nostalgici fans di Angles Cry e Holy Land. Ritual nel 2002 dopo pochi ascolti mi aveva saturato in quanto le song che lo componevano erano troppo Angra Oriented e di livello inferiore agli originali. Reason è invece una buona occasione per sentire elementi del passato fusi con una vena più spiccatamente “dura” che, sebbene inizialmente mi abbia colto in contropiede, ho e sto apprezzando senza tuttavia gridare al miracolo.

“Top Songs”: Turn Away, Reason, Innocence.
“Skip Song”: Scarred Forever.  

TRACKLIST:

1. Turn Away
2. Reason
3. More
4. Innocence
5. Scarred Forever
6. In The Night
7. Rough Stone
8. Iron Soul
9. Trail Of Tears
10. Born To Be.

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