Recensione: Reason

Di Giorgio Vicentini - 10 Luglio 2004 - 0:00
Reason
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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85

Finalmente sento suonare gli Officium Triste come mi sarei aspettato da loro: funeral doom di rango. Nel mio immaginario, un gruppo con tale monicker non avrebbe potuto fare altro che proporre fin dall’inizio un disco come “Reason”; tanto che rimasi parzialmente deluso da “The Pathway”, affascinante per certi aspetti ma un po’ troppo acerbo per altri.

Sentirli nella loro veste 2004 è un vero piacere perchè stavolta hanno fatto centro con un disco potente e suggestivo, espressivo ed emozionante, che farà la gioia di tutti coloro che celano nel loro cuore sofferenza e tristezza e cercano un catalizzatore per esternarle.
Davvero notevoli sono la mutazione e la crescita rispetto al lavoro precedente: sono sparite tutte le incertezze, tutti i passi falsi e le cadute di tono; ora la produzione è chiarissima e potente al punto da non compromettere le idee, sparisce il cantato pulito, tanto incerto quanto inespressivo, per lasciar campo libero al growl e ad un parlato efficace inserito con il conta gocce per aggiungere pathos e porre l’accento ai momenti culmine.

“Reason” è un disco che smuove l’emotività grazie al suo saper essere maestoso e possente, come nel caso dell’opener “In Pouring Rain” ed atmosferico e funereo (“The Silent Witness”), grazie al tocco dominante di malinconiche tastiere, di chiara matrice ed impostazione Shape of Despair, sulle quali si esprime con tutta la sua carica il cantato lento e corposo del vocalist Pim Blankenstein.
Quest’ultimo lavoro può trasportare dalla pura e triste desolazione di alcuni passaggi di “This Inner Twist”, con un il suo attacco potente e cadenzato, a frangenti melodici e struggenti durante i quali sembra di poter gridare col cuore tutta la propria disperazione per una risposta alle proprie inquietudini mai trovata; ci si può abbandonare al ricordo malinconicamente romantico di una persona amata non più con noi, che con la sua scomparsa porta con se ogni luce per i nostri occhi senza possibilità di replica alcuna (“The Sun doesn’t Shine Anymore”); si può arrivare ad annusare, con impotente rassegnazione, il profumo di una giovane vita arresasi, come un fiore appassito, ai colpi insopportabili dei propri demoni (“A Flower in Decay”).

Gli Officium Triste hanno tentato il salto di carreggiata e ce l’hanno fatta, grazie alla sicurezza con cui interpretano questo nuovo corso basato su un’inconsueta espressività resa grazie a ritmiche lente, parti orchestrali intense e testi ed atmosfere sempre in bilico tra la vana ricerca di una luce interiore, la desolante rassegnazione di fronte alla pochezza dell’umana natura che non sa darsi delle risposte, l’inevitabile ricaduta nella disperazione acuita dall’ennesimo fallimento.

Cinque musicisti per cinque “racconti” che scivolano via evitando la prolissità dei maestri del genere perchè, nonostante l’etichetta sia funeral doom, il combo olandese ha confezionato un disco tanto carico di emozioni quanto sincero, stimolante e snellito della voluta ed inquietante staticità dei i già citati Shape of Despair, una delle principali assonanze. Tutto ciò rende i 42 minuti totali scorrevoli ed adatti anche a coloro che non masticano regolarmente uscite discografiche di questa matrice, spesso molto più dense, corpose e quindi facilmente indigeste. L’unica pecca del disco? Essere uscito in una stagione infame per le caratteristiche di questo disco, che andrebbe gustato, vissuto e sofferto rannicchiati e piangenti in balia del freddo autunnale, bagnati da una pioggia fitta.

Se questo è un trampolino di lancio per il futuro, se d’ora in poi la crescita del gruppo sarà esponenziale, a fatica scorgo dove possano arrivare questi baldi olandesi, autori di uno dei più bei dischi usciti nel 2004.

Tracklist:

01. In Pouring Rain
02. The Silent Witness
03. This Inner Twist
04. The Sun Doesn’t Shine Anymore
05. A Flower In Decay

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