Recensione: Rebel Extravaganza

Di Matteo Bovio - 27 Dicembre 2001 - 0:00
Rebel Extravaganza
Band: Satyricon
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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75

Questo è uno di quei tanti album che quando escono fanno spendere su di sè torrenti di parole e che riescono immancabilmente a dividere in due critica e ascoltatori. E se devo dirvi la verità, sono profondamente convinto che Satyr, al momento della pubblicazione, fosse completamente consapevole di quanto si sarebbe detto su questo “Rebel Extravaganza”.

Personalmente cercherò di rimanere quanto più oggettivo possibile nel dare la valutazione ad un album che non può, anche nell’ascoltatore più distaccato, non lasciare dubbi e preoccupazioni. Questi dubbi non nascono però dalla musica in sè, almeno nel mio caso: nascono quando si cerca di trovare dei punti di contatto con i precedenti lavori firmati Satyricon. Il precedente MCD “Intermezzo II” era un inequivocabile segno che le cose stavano cambiando, ma credo che nessuno si aspettasse di trovarsi tra le mani un album di questo genere. Andiamo quindi a vedere cosa c’è di così tanto sconvolgente in questa uscita.

Già l’introduzione al primo brano è un presagio della forte componente industrial che attraversa tutto il lavoro; una componente che in passato aveva fatto da ornamento o tutt’alpiù da sfondo a qualche scorcio di brano, ma che qui diventa il nodo, il punto focale dell’ascolto. Questa considerazione si spinge comunque al di là della scelta dei suoni o degli inframezzi: il suono dei Satyricon ha abbandonato quella caratteristica epicità e marzialità per andare ad appoggiarsi ad atmosfere fredde, staccate e… industriali. Chiedo scusa per il continuo utilizzo di questo termine come riferimento, ma lo trovo quello che più renda bene l’idea che voglio esprimere (o meglio, quella che i Satyricon presumo vogliano esprimere).

E’ inutile stare a discutere di queste scelte in termini di coerenza: sono fesserie e niente più, perchè, come tra l’altro ha dichiarato lo stesso Satyr, quest’album è quanto di più misantropico i Satyricon abbiano mai prodotto. Sono quindi cavolate quelle secondo cui il gruppo norvegese si sarebbe qui svenduto, anzi. Il problema è che non tutti apprezzeranno queste scelte stilistiche: io vi invito ad ascoltare il lavoro senza pregiudizi di nessuna sorta, e a valutarlo in base a quello che è e non in base a quello che voi vorreste che fosse.

Volendo parlare ora della proposta in sè, la prima cosa da dire è che Frost ha datto veramente il meglio di sè: mai si era sentita una batteria così veloce e impeccabile in un album dei Satyricon. Anche questo elemento contribuisce a rendere il suono più industriale: veloce, precisa ed essenziale, tre aggettivi che descrivono la sezione ritmica e che danno l’idea della sua “macchinosità”, per così dire. Il suono di chitarra è decisamente tagliente, e lo stesso il riffing ben lontano da quell’epicità che lo contraddistingueva ai tempi di “The Shadowthrone”. Ma l’elemento che probabilmente più ha turbato il pubblico è stata la voce palesemente filtrata di Satyr: vi assicuro che in certe parti riesce letteralmente a far gelare il sangue.

I brani che più sono azzeccati credo siano “A Moment of Clarity” e “Down South, Up North”; Può darsi che mi abbiano lasciato questa impressione perchè sono i due in cui di più affiora l’ombra dei vecchi Satyricon, ma non lo credo. Non nascondo infatti come questa nuova strada mi affascini in maniera particolare, e come stimi i Satyricon per la loro coraggiosa scelta di innovarsi: che nessuno venga a dirmi che la svolta è stato di tipo commerciale, perchè “Rebel Extravaganza” tutto è fuorchè un album dal facile ascolto. C’è ancora tanto da lavorare per arrivare ai massimi livelli su questa via, motivo in più per cui attendo impaziente il nuovo album; se qualche pseudo-purista ha qualcosa da ridire, non sa cosa si perde.
Matteo Bovio

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