Recensione: Redifining Darkness

Di Tiziano Marasco - 20 Novembre 2012 - 0:00
Redifining Darkness
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Anno: 2012
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74

Le grandi guerre che Mikael Åkerfeldt ha intrapreso durante il tardo corso del suo regno, nel quale la forza bruta ha lasciato posto ad un totale cerebralismo, da un lato ha sfinito la pazienza di buona parte del pubblico. Dall’altro la mutazione incorsa nei suoi Opeth ha prodotto un vuoto incalcolabile nel panorama metal estremo, scandinavo e non. Tale cambiamento sta dando occasione, neppur tanto segreta, di arricchire una enorme quantità di quelle sanguisughe sempre a caccia delle sensazioni. Provocano nel senso che tali sanguisughe, da molti dette band emergenti, cercano di emulare, e magari sostituire, i toni oramai (irrimediabilmente?) perduti dei prog death metaller più famosi di Svezia. Se questo sia il caso degli Shining, loro connazionali peraltro, è impresa ardua da stabilire, e non vi porremo attenzione sinché la disamina non verrà portata ad una conclusione.

Verò è che gli Shining esattamente emergenti non lo sono, essendo giunti con questo Redifining Darkness, all’ottava prova di studio. Non bastasse questo, il gruppo capitanato dal fenomenale Niklas Kvarforth ha sempre avuto una spiccata identità, anch’essa volta a trovare la perfetta unione di quiete e tempesta non nell’incontro di questi elementi, ma nell’accostamento, all’interno di complesse composizioni, di parti ragionate, figlie del prog / post, ed altre furibonde, figlie del black norvegese. Come ad esempio l’elettrica scarica che apre tifonicamente Du Mitt Konstverk, di memoria novantiana e coronata da un growl viscerale e per nulla impostato. Questa parte, che riappare a metà composizione, rugginosa e ringhiante, è intervallata da break più lenti ed ipnotici, suonati con tutt’altro pathos, per un risultato complessivo che è un’autentico Konstverk (opera d’arte). La successiva The Gashtly Silence si muove su coordinate simili, sebbene smorzi un po’ i toni più spigolosi, ed impreziosisce tutto di un sax che, in musica scandinava, richiama ineludibilmente ai Solefald, per un risultato che per quanto fascinoso, ha il retrogusto del già sentito. Segue Han Som Hatar Manniskan, un altro ottimo pezzo che segue i contrasti ruvidi della opener, ancor black puro intermezzato da un post metal che attinge molto dai migliori Isis, e stavolta un po’ anche dagli Opeth di Morningrise, per uno dei passaggi più tranquilli, ma anche più affascinanti dell’intero disco. I richiami agli Opeth (gli Opeth sì, quelli che un tempo erano soliti inserire un interludio di pochi minuti in mezzo a composizioni contorte ed estenuanti) si rifaranno vivi poi anche in Det Störa Gra, strumentale lenta ed oscura di piano, prima che For The God Below, un altro meraviglioso pezzo (apparentemente il più banale e a conti fatti il più affascinante) chiuda i quaranta minuti che compongono Redifining Darkness.  

Per chiudere dunque la pugnace disamina posta in apertura possiamo trarre li seguenti conclusioni.  

Redefining Darkness, pur essendo un ottimo disco, contrariamente al titolo non ridefinisce le oscure sonorità di un’ottima band. In secondo luogo tale band non sta neppure cercando di occupare la nicchia propria degli Opeth, come si potrebbe sospettare. Gli Shining avevano già in origine questa natura dissonante, e certo non hanno perso la loro anima black né un tono quantomeno caratteristico. Piuttosto possiamo dire che, similmente ad altre band svedesi (per far un nome diverso, i Pain Of Salvation), gli Shining stanno procedendo lungo un percorso, iniziato da Född Förlare che li porta via, via a smussare le parti più aspre della propria identità. È un ottimo disco, lo ripetiamo, ma a qualcuno lascerà l’amaro in bocca.  

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

 

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Tracklist

01 – Du, Mitt Konstverk
02 – The Ghastly Silence
03 – Han Som Hatar Manniskan
04 – Hail Darkness Hail
05 – Det Stora Gra
06 – For The God Below
 

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