Recensione: Regression of Human Existence

Di Stefano Ricetti - 2 Ottobre 2013 - 0:10
Regression of Human Existence
Band: Mary Brain
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2013
Nazione:
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L’inizio della storia musicale dei Mary Brain ricalca le orme di quella di altre centinaia di band che inseguono un sogno in questa sempre più disastrata penisola. Tanto di cappello a Loro e a tutti gli altri, testimonianze viventi che l’Italia VERA è ben diversa dallo schifo che troviamo in sede istituzionale. Tornando in ambito artistico, i Nostri muovono i primi passi in quel di Modena, nel 2005, puntando sulle cover di classiconi quali Metallica, Megadeth, Judas Priest e Iron Maiden, per porre quelle le basi atte a sviluppare un qualcosa di più personale, percorso che man mano prende sempre più forma e si rafforza concerto dopo concerto.     

Dopo i soliti, innumerevoli, cambi di line-up, i Mary Brain approdano nel 2009 all’incisione del primo demo, intitolato Pay For Your Sins, contenente sei pezzi inediti più la cover di Ace of Spades dei Motorhead. Tanto Rock’N’Roll metallizzato e testi straclassici pregni della leggerezza tipica di un esordio, a sancire su dischetto ottico le fatiche di tanti anni on the road. Evidentemente gasati i modenesi si cimentano entusiasticamente nella scrittura dei pezzi che andranno a finire nel primo vero e proprio full length, forti di una degna attività live a corollario. La speranza di poter approdare a un contratto discografico porta la band a firmare per un’agenzia specializzata e già nel 2010 vi è l’incisione dei pezzi di Regression of Human Existence. La maturazione è evidente, a partire dai testi, improntati, come si può arguire anche dal titolo del lavoro, a esperienze di vita diverse da quelle che ci vengono propinate dalla favoletta del Mulino Bianco.        

La delusione, però, è dietro l’angolo, anche se per palesarsi pienamente attende ben due lunghi, lunghissimi anni: l’album non riesce a essere pubblicato. Da qui la scelta di chiudere l’esperienza negativissima con l’agenzia di cui sopra e orientarsi verso l’autoproduzione a 360°, come si faceva ai bei tempi della Nwobhm, nonostante il mondo sia profondamente cambiato, nel frattempo. Il parto ufficiale del disco avviene a gennaio di quest’anno, finalmente, dopo tante tribolazioni.   

Regression of Human Existence si presenta in maniera professionale, accompagnato da un booklet di otto pagine e forte di una copertina curata, che rifugge gli stereotipi. Dieci i pezzi a comporre l’ossatura del lavoro. L’inizio è ad appannaggio dell’enfasi di marca Ac/Dc periodo For Those About To Rock contenuta all’interno del brano Regression, poi con Golem i Mary Brain iniziano a fare sul serio sulla scia della scuola Iron Maiden, invero rinvigorendone la dose. Coraggioso il lavoro di Matteo Vicenzi al microfono, ma è altresì vero che di Bruce Bruce Dickinson ce n’è un uno solo, e si sente… Anche S.O.S (Stairs of Shadows) fa il verso ai londinesi seppur con delle buone variazioni sul tema; per il resto si conferma la sensazione legata al cantato di cui sopra. Per ottenere qualcosa di più personale e interiore da parte dei figli dell’Emilia bisogna attendere il pezzo numero quattro, My Redemption, brano ove il singer, interpretando se stesso, dà il meglio del proprio repertorio. A raddoppiare il colpo, un altro diretto allo stomaco intitolato Insane Asylum, traccia atipica, dai tempi spezzati e saltellanti, che però riesce a tratteggiare un ulteriore ambito a favore dei Mary Brain, quando fanno, appunto, i Mary Brain. 

Incipit magnetico e d’altro continente per Sodom & Gomorrah, episodio intrigante proprio perché fuori dal coro rispetto ai pezzi che l’hanno preceduto e molto vicino a qualcosa dei grandi, vecchi Savatage, anche se proposto in modalità più rustica. Mazzata alla doppia cassa in Death Game, altro momento dall’andamento convincente, peccato per Vicenzi quando “tira” davvero oltre misura, mentre avrebbe potuto essere molto più ficcante semplicemente puntando sulla potenza, senza andare a stuzzicare territori ad appannaggio di altri screamer, peraltro irraggiungibili per il 95% dei cantanti in circolazione.   

I Mary Brain introspettivi si rivelano totalmente in Against the Darkness…, spaccato avvincente e ben strutturato che sa offrire passaggi davvero da rimarcare da parte dello stesso Matteo Vicenzi in ambiti più d’atmosfera. Follia pura far terminare la canzone dopo poco meno di due minuti per dar spazio all’ordinaria, dickinsoniana, …We’ll Be Alone, nonostante la prima costituisca chiaramente l’incipit della seconda. Chiusura al calor bianco con Army of Terror, pezzo dove la cattiveria del cantato prevale sulle note verso le vette, indicando, forse, la via preferibile per il futuro del gruppo, insieme con quella dai toni più stemperati.   

In conclusione i Mary Brain inanellano buone idee alternate a cose maggiormente scontate, denotando senza dubbio capacità esecutoria insieme con qualche picco nel songwriting, ma è altrettanto vero che la band debba ancora trovare la giusta quadra per spiccare per davvero il volo.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

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